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Questa opera di Enrico Altavilla è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
I vantaggi di reinventare la (SEO) ruota
Molti anni fa su un gruppo di discussione su Internet lessi un informatico che stava cercando di progettare un nuovo algoritmo di ricerca di pattern nei testi. Un secondo informatico gli chiese: “Esistono già molti buoni algoritmi di ricerca. Perché reinventare la ruota?” ed il primo rispose: “Perché a me serve un razzo.“.
A distanza di tanti anni ricordo ancora distintamente quella discussione perché in poche parole riusciva a dipingere uno scenario piuttosto comune tra quelle comunità che dovrebbero investire parte del proprio tempo in ricerca e sviluppo e che invece preferiscono adagiarsi alla comodità di quanto già esiste, persino quando non opportuno o non conveniente.
L’espressione “reinventare la ruota” è stata sempre sfruttata per evidenziare esclusivamente l’apparente perdita di tempo (e denaro) nel cercare di ottenere qualcosa che esiste già.
Se da un lato questo tentativo di dissuasione appare figlio del buonsenso e del tutto giustificato, dall’altro però è necessario precisare che il tempo speso nel reinventare una ruota va considerato un investimento azzardato esclusivamente quando si tenta di ottenere esattamente la stessa ruota.
Dunque mi chiedo: che effetti negativi possono scaturire da questi tentativi di dissuazione se poi bloccano sul nascere anche quei percorsi di ricerca che potrebbero far emergere soluzioni migliori a problemi apparentemente già risolti in via definitiva?
Avete mai avuto l’impressione che l’ambiente attorno a voi preveda che la ruota debba girare in un preciso modo ma che nessuno sappia esattamente il perché?
Questo articolo è dedicato alle ruote che nessuno vuole reinventare e a quelle dentate degli ingranaggi industriali, tra le quali si rimane incastrati quando si decide di seguire ciecamente i binari tracciati da altri. Compresi i binari della SEO.
Playing safe
Nel cercare sempre la terra sotto i piedi, è inevitabile che gli esseri umani si aggrappino a tutte le certezze possedute. Si tratta di un comportamento che in genere è istintivo e positivo, perché appoggiarsi alle certezze è uno dei tanti modi di ridurre i rischi e di aumentare quindi le probabilità di successo.
Il diavolo, tuttavia, sta nei dettagli. Se è giusto appoggiarsi ad una certezza forse non è altrettanto salutare (hi there!) nel lungo termine adagiarsi ad esse in senso generale.
Non è raro osservare contesti nei quali persone in grado di portare innovazione sono relegate a ruoli meramente esecutivi e gli adepti del “playing safe” vengono invece assegnati a ruoli di gestione, dove le responsabilità sono maggiori e serve qualcuno che sia in grado di applicare e far applicare processi definiti.
La ragione per la quale in pochi tentano di reinventare la ruota in contesti lavorativi, dunque, è legata sia alla nostra predisposizione psicologica a muoverci per strade che conosciamo bene sia alla riduzione del rischio che se ne ottiene se tale approccio viene applicato alle attività lavorative.
Fin qui tutto bene, perché reinventare la ruota non è un processo intrinsecamente positivo o negativo. Il problema nasce quando il rifiuto a reinventare la ruota è conseguenza di una cultura che a priori teme il cambiamento o non accetta il rischio.
Riprenderò il discorso del contesto di lavoro successivamente, intanto vi racconto un aneddoto per mostrare uno dei vantaggi che si ottengono reinventando la ruota.
Cornuto e mazziato
In passato ho lavorato per alcuni anni in Sems, l’agenzia di search marketing fondata e diretta per anni da Marco Loguercio, al quale non ho mai raccontato l’episodio che segue. Alcune delle attività che portavo avanti riguardavano lo sviluppo di tool utili alla SEO.
Poco prima di andar via dall’azienda, mi son trovato nella condizione di dover fare una scelta critica: ero molto combattuto se copiare i sorgenti dei tool che avevo sviluppato per l’azienda o se ripartire da zero per crearne di nuovi, a beneficio dell’attività di consulente che avrei iniziato da lì a poco.
Da un lato la maggior parte del tempo investito nello sviluppo di quei tool era stato tempo personale, avendoli programmati spesso a casa in orari non lavorativi. E quindi, porca pagnotta, li sentivo “miei”. Dall’altro (tranne una rara eccezione) sono sempre stato una sorta di “soldato” nei confronti dell’azienda e quindi c’era una parte di me che avrebbe percepito il gesto come scorretto.
Non ricordo perché non chiesi semplicemente all’azienda se potevo prenderli… sta di fatto che indossai gli occhiali scuri, presi una chiavetta USB criptata e protetta da password, vi copiai i sorgenti, li portai via con me e vinsi il premio italiano 2009 per la creazione di nuove aberranti imprecazioni nell’infruttuoso tentativo di ricordare la password. Niente da fare. Formattazione. Pirla. Amen.
Spero che il riferimento a “cornuto e mazziato” sia adesso chiaro: inzozzare un minimo la coscienza era il prezzo da pagare per risparmiare un tedioso lavoro di rifacimento, invece commisi tutte le azioni necessarie a definirmi un delinquente patentato ed in cambio non ne ottenni un fico secco.
Non so se voi vedete in tutto ciò una profonda lezione morale, ma io ce l’ho vista: non criptate mai niente se avete una memoria di merda.
Che c’è di buono in questa storia? C’è che se l’occasione fa l’uomo ladro, la necessità fa l’uomo bravo. Fui costretto a riprogrammare da zero tutti i tool di cui sentivo la necessità e nel farlo vennero fuori molto più fighi ed utili di quelli sviluppati in passato.
Anche se l’aneddoto illustra una condizione forzata a dover reinventare la ruota, penso che il messaggio di fondo rimanga valido: reinventare la ruota è sempre un’opportunità che apre la strada a migliorie, ottimizzazioni, nuove scoperte, soddisfazioni e a soluzioni che si adattano meglio a nuovi scenari e condizioni.
Alla fine del processo la ruota inventata è diversa da quella che intendevamo reinventare ma per certo non avremmo prodotto nulla di nuovo e di migliore se avessimo rifiutato a monte l’idea di dover rifare qualcosa che apparentemente esisteva già.
Gli ingranaggi industriali della SEO
L’aspetto delle ruote da reinventare che più mi sta a cuore è quello legato alla loro apparente incompatibilità con l’industrializzazione delle attività SEO. E ho scritto apparente perché ritengo che l’incompatibilità sia solo tale.
Capita a volte che certi processi, ben definiti ed eseguiti con precisione quasi automatica dai dipendenti di un’azienda, sfocino in rigidità che possono alimentare fenomeni di stagnazione mentale e professionale.
Le aziende nelle quali si arriva ad instaurare questa condizione sono “accidentalmente” anche quelle nelle quali risulta più difficile sia la proposizione di nuovi approcci sia, come conseguenza, l’introduzione di migliorie ai processi stessi.
Introdurrò di seguito velocemente una semplice classificazione dei servizi SEO in Italia e poi tornerò a bomba a discutere dei processi aziendali.
Uno sguardo al mercato
Da quello che osservo, il mercato SEO italiano è estremamente eterogeneo. Una possibile divisione dei servizi di search marketing in due grandi classi potrebbe essere quella della vendita della SEO come prodotto e quella della vendita di servizi consulenziali di search marketing. Sono due estremi tra i quali esiste una moltitudine di approcci ibridi.
Mi piace illustrare questa divisione mettendola in relazione ad un’altra caratteristica, ovvero la tipologia del cliente. Nel grafico che segue ho dedicato una dimensione a quanto il cliente ne capisce di search marketing ed una dimensione a quanto l’approccio del venditore è di tipo consulenziale.
Ne son venute fuori quattro principali sezioni di cui esplicito il significato:
Sezione A: clienti evoluti gestiti prevalentemente da agenzie di search marketing che hanno adottato un modello in buona parte industriale. Le agenzie del settore A sono riuscite ad industrializzare la SEO attravero servizi preconfezionati per soddisfare la richiesta di aziende che vedono nella search un canale strategico per il proprio business e che solitamente investono da tempo in questo settore.
Sezione B: clienti evoluti gestiti da consulenti, sia freelance sia organizzati in agenzie. Questa tipologia di cliente è solitamente predisposta ad internalizzare la definizione di strategie di search marketing e di attività SEO e cerca all’esterno non tanto un “fornitore” a cui demandare attività quanto una guida che li aiuti a migliorare le proprie prestazioni.
Sezione C: clienti con poche conoscenze o interessi nel search marketing gestiti da agenzie che applicano alla SEO modelli industriali. A questo settore appartengono sia quelle agenzie di search marketing che puntano alla massa di piccole imprese a cui proporre servizi SEO molto semplici (si legga: posizionamento come si faceva anni fa) sia quelle agenzie di marketing che si ritrovano clienti per i quali il canale dei risultati naturali non è particolarmente strategico e ai quali possono essere proposti attività SEO molti semplici (si legga: posizionamento come si faceva anni fa).
Sezione D: clienti con poche conoscenze di search marketing gestiti da agenzie o freelance con un forte approccio consulenziale. Si tratta di quella fascia di clientela che ritiene indispensabile internalizzare in futuro il know-how e le attività SEO. Un esempio tipico di questa tipologia di aziende sono quelle in fase di startup, a volte necessitano di una consulenza di search marketing già in fase di progettazione del business plan. Le aziende di questa sezione sono destinate a muoversi verso il settore B, via via che acquisiranno competenze.
Torniamo adesso alle due grandi classi industriale e consulenziale, nel grafico collocate rispettivamente nella metà sinistra e nella metà destra.
Prendendo assolutamente con le pinze le mie impressioni, direi che la prima classe di servizi (sezioni A e C del grafico) è probabilmente quella che in Italia genera la fetta di fatturato maggiore. Si tratta della SEO venduta ancora un tot al chilo e per mezzo di pacchetti di attività preconfezionate, retaggio di un periodo in cui il concetto di “posizione per query” (ovvero il concetto di posizionamento) aveva ancora senso.
La seconda classe di servizi SEO è rappresentata da quelli che prevedono consulenze “custom”.
Non mi dilungherò su questo secondo tipo di approccio al search marketing, perché in questo post desidero proporre alcune reinvenzioni della ruota sopratutto a chi ha adottato un approccio più “vecchio stile” (sezioni A e C del grafico).
I processi aziendali
Per quello che ho osservato, la resistenza a reinventare la ruota nasce sopratutto perché il rapporto costi/benefici di una rivalutazione e revisione dei processi aziendali dedicati alla SEO viene spesso percepito troppo alto.
Le ruote però sono difficili da reinventare anche perché esistono spesso freni legati all’organizzazione del lavoro aziendale.
Per esempio, ecco di seguito alcune tipiche criticità nei processi di aziende che applicano in modo abbastanza rigido delle semplici procedure di ottimizzazione o posizionamento.
Alcuni dei seguenti problemi sono più caratteristici di aziende grandi e molto strutturate mentre altri sono comuni ad aziende di qualsiasi grandezza; tutti però rendono più difficile introdurre modifiche allo status quo:
- i processi SEO sono obsoleti (criticità che a sua volta è spesso conseguenza di problemi ben più seri, come una vision inesistente, un’indentità aziendale non ben definita o un posizionamento incerto sul mercato, ma qui mi fermo perché l’unico modo di approfondire le cause sarebbe attraverso la divagazione, che invece dribblo con astuzia volpina)
- i processi sono definiti ma non è stata formalizzata una procedura per la loro rivalutazione periodica: se qualcuno ha una buona idea non è chiaro se e come si possa proporla ad un decisore o testarne la validità o passare dalla teoria alla pratica
- i processi SEO vengono definiti da persone poco adatte al compito: va ricordato che prima che la SEO venisse baciata dalla dea del marketing, essa era relegata esclusivamente a contesti tecnici e ad attività più o meno automatizzabili, perché il target dell’attività era il motore da fregare e non l’utente del motore da accogliere. In molte aziende è ancora così e spesso la definizione dei processi SEO viene assegnata esclusivamente a persone che ricoprono ruoli tecnici, senza contributi da parte di coloro che ricoprono ruoli di gestione del marketing
- le modalità di rivalutazione di un processo sono formalizzate ma prevedono esclusivamente un approccio top-down, che detto in parole spicce significa che la ruota viene reinventata dai capoccia senza che alle decisioni contribuiscano le opinioni e le informazioni acquisibili da chi poi svolgerà effettivamente le attività
- la rivalutazione e revisione dei processi SEO spesso non è abbastanza agile da seguire la quantità smodata di novità del nostro settore
Leggendo la lista delle criticità si potrebbe erroneamente credere che esse siano riscontrabili solo in aziende con molti dipendenti, dove la presenza di diversi livelli gerarchici e di organigrammi complessi renda difficile ogni aggiornamento ed evoluzione dei processi.
In realtà io ho riscontrato i problemi sopra elencati anche in aziende relativamente piccole, nelle quali le resistenze a reinventare le ruote non erano da imputare ad organizzazioni complesse bensì a rigidità mentali di specifici dipendenti con ruoli di gestione o a rigidità del management.
Questa condizione generalizzata mi fa sperare che le proposte di ruote reinventate che farò nella seconda parte di questo articolo possano essere ritenute interessanti da aziende di qualsiasi grandezza.
Le conseguenze
La trattazione di questi ingranaggi aziendali non sarebbe completa se non elencassi almeno alcuni degli effetti collaterali negativi che sono tipici dei contesti in cui le attività SEO vengono fortemente industrializzate, seguendo processi particolarmente rigidi e difficili da modificare.
Gli effetti collaterali che più mi stanno a cuore sono quelli sulla sanità mentale dei dipendenti e quindi mi focalizzerò su questi ultimi.
Catena di montaggio
La percezione che si venga utilizzati come meri esecutori di attività ripetitive, sempre uguali, ponendo la correttezza di esecuzione del processo prima di ogni altra cosa, è probabilmente una delle principali cause di frustrazione del dipendente.
Il fenomeno si aggrava nel caso in cui il dipendente è dotato di intelligenza propria, magari associata ad una forte curiosità e passione per una professione, la SEO, che dal proprio punto di vista percepisce come creativa.
Disallenamento
Non c’è miglior modo di stancare e atrofizzare un cervello che fargli eseguire attività scimmiesche con periodicità fissa.
Visto che nella stragrande maggioranza dei casi le persone soggette alle attività scimmiesche sono le stesse che poi svolgono analisi e valutazioni SEO che richiedono intuizione, attenzione, capacità di critica e a volte una predisposizione a pensare “out of the box”, se ne deduce che la forzata coabitazione di Mr Hyde e Dr Jekyll rischia di influire negativamente sulle attività che richiedono più presenza mentale.
Confusione
A volte la rigidità di esecuzione è talmente alta che alcuni dipendenti iniziano ad avere la percezione che nessuno sappia perché le cose vadano fatte esclusivamente in uno specifico modo, apparentemente illogico o non ottimale. Questa sensazione è frustrante in particolar modo per chi è abituato a chiedersi il perché di tante cose.
E a questo proposito ho una storia da raccontare.
La lezione delle scimmie
La storiella che vi racconto è tratta da un reale esperimento e studio scientifico svolto nel 1966 (Cultural Acquisition of a Specific Learned Response Among Rhesus Monkeys) e illustrato con disegni accattivanti su questo blog.
In una gabbia sono state messe cinque scimmie ed una scala con in cima una banana.
Ogni volta che una scimmia tentava di salire la scala per prendere la banana, le altre quattro venivano innaffiate con acqua gelida.
Dopo un po’, se una scimmia osava tentare la scalata, veniva subito fermata e picchiata dalle altre, che temevano la doccia fredda. Si arrivò al punto che nessuna delle scimmie osò più avventurarsi su per la scala.
Fate attenzione: da questo momento in poi, le docce fredde non vengono più somministrate.
A questo punto una delle cinque scimmie viene sostituita e la prima cosa che questa nuova scimmia fa è tentare di prendere la banana. Come prevedibile, le altre quattro scimmie glielo impediscono picchiandola e dopo un po’ di episodi simili la nuova scimmia capisce che è vietato salire la scala, anche se non ha idea del perché.
Una seconda scimmia del gruppo originario viene sostituita e anch’essa tenta di salire la scala, venendo subito picchiata dalle altre quattro, compresa la scimmia che aveva imparato il divieto pur ignorandone il motivo.
Avvengono altre sostituzioni ed ogni volta la nuova scimmia introdotta nel gruppo impara dalle altre il divieto di non salire la scala.
Dopo un totale di cinque sostituzioni non ci sono più scimmie del gruppo originario e rimane dunque un gruppo di cinque nuove scimmie che picchiano chiunque osi avventurarsi sulla scala, anche se nessuno sa più il perché.
Se fosse stato possibile chiedere alle scimmie perché picchiavano chiunque tentasse di prendere la banana, forse la risposta che avrebbero dato sarebbe stata qualcosa del tipo: “Non lo so, ma da queste parti le cose funzionano così.”
La storiella è finita ma la ricollego subito alle ruote da reinventare evidenziando che a volte i processi aziendali hanno vita più lunga dei dipendenti che li hanno definiti e può succedere che dei dipendenti decidano di andare via dall’azienda lasciandole in eredità delle procedure definite ma non motivate.
Se qualche volta vi è capitato di chiedervi perché è stato deciso che un’attività debba essere svolta in un modo ben preciso, esiste una probabilità maggiore di zero che la motivazione completa sia sconosciuta persino a chi ha la responsabilità di controllare che il processo venga applicato alla lettera.
La seconda osservazione che mi sento di fare riguarda il comportamento delle scimmie: pare proprio che nessuna di esse abbia trovato opportuno reinventare una ruota (in questo caso una regola sociale) condivisa e funzionante.
Certo, la regola rendeva impossibile a chiunque mangiare la banana e forse sarebbe bastato ridiscutere la regola per scoprire che il pericolo della doccia fredda non esisteva più, tuttavia mi sento di giustificarle perché son scimmie e possiedono un sistema di comunicazione meno sofisticato del nostro.
Dall’homo sapiens invece è giusto aspettarsi uno scrupolo a contribuire al sistema di regole che governa la propria comunità/società.
Reinventare la SEO?
Storicamente, la SEO si è dimostrata la disciplina più incline ad accettare continue modifiche e migliorie, una reinvenzione ininterrotta guidata prevalentemente dalle evoluzioni dei motori di ricerca.
Una curiosa caratteristica degli operatori del settore abbarbicati a tecniche e prodotti SEO antidiluviani è che si decidono a cambiare le proprie metodologie solo in due casi: 1) sotto ricatto quando gli rapiscono la mamma o 2) quando sono costretti da devastanti aggiornamenti di Google che mettono a rischio lo stipendio.
Nella storia del search marketing questa condizione di costrizione è stata imposta da Google principalmente in tre periodi storici: nel 2003 con l’update Florida, a partire dal 2011 con gli update Panda e sopratutto a partire dal 2012 con gli update Penguin. Florida fu un’apocalisse ma anche Penguin non scherza.
Ovviamente Google ha regalato smottamenti tellurici nelle proprie SERP in modo costante e frequente anche in tutti gli altri anni, ma i tre eventi sopra indicati sono stati quelli che hanno creato criticità concrete a chi la SEO la fa di professione.
Riconoscere questi momenti storici è semplice: c’è un picco di richieste fatte ai consulenti da parte di aziende (comprese le agenzie di search marketing) che vogliono rivedere le proprie metodologie SEO.
Prendendo energie dal momento fibrillante e storico che la SEO sta attraversando, ho deciso di fornire di seguito alcune semplici proposte per reinventare qualche ruota.
Purtroppo non è possibile fornire consigli generici sui processi SEO aziendali, perché è un’attività nella quale la cura cambia da paziente a paziente, però è possibile fare qualche esempio pratico su come alcune classiche attività SEO possano essere riviste negli obiettivi, nelle procedure e nella comunicazione nei confronti del cliente.
Io lo faccio senza pretese, voi dategli un’occhiata. Magari si tratta di idee che state già applicando, magari nel vostro caso non sono applicabili e magari invece possono esservi di spunto per il lavoro.
Al rogo i listoni
Per semplificare le cose, ho deciso di focalizzarmi su una caratteristica comune a diverse attività SEO e di proporvi di reinventare le ruote associate ai processi che producono come output dei SEO-listoni.
Che cosa sono i SEO-listoni? Sono tutti quei prodotti di attività SEO che constano di lunghe liste di elementi: URL, keyphrases, valori numerici, backlink, posizioni in SERP… chi più ne ha più ne metta.
La reale criticità di questo materiale è che solitamente viene fornito al cliente come principale output di un processo, col risultato che il cliente riceve:
- troppe informazioni, più di quante gliene servano. Esistono degli intrinseci limiti cognitivi che rendono controproducente subissare una persona con lunghe liste di elementi.
- uno strumento inusabile. La quantità di informazioni e il formato ad elenco col quale vengono erogate rendono spesso poco usabile l’output, che potrebbe invece essere organizzato in strutture più funzionali allo sfruttamento dei dati.
- un prodotto esteticamente sgradevole. Non vanno mai sottovalutati gli effetti che una valutazione estetica negativa ha sulla più generica ed importante valutazione qualitativa di quanto si ha di fronte.
- (importante) una forte indicazione che l’approccio dell’agenzia/consulente è quantitativo prima ancora che qualitativo.
Per riassumere, i SEO-listoni non danno evidenza del lavoro che è stato svolto per ottenere i dati, non danno visibilità al processo di organizzazione delle informazioni, non rendono esplicito che l’agenzia/consulente oltre ad inviare l’output al cliente si è fatta scrupolo di valutare i risultati e non mettono in risalto le conclusioni tratte dalla suddetta valutazione.
Tra l’altro, più i SEO-listoni sono lunghi e più nel cliente si insinuerà la convinzione che sono stati ottenuti con palesi automatismi. Siccome non sempre questa congettura è vera ed alcuni lunghi output sono invece frutto di attività in parte manuali, è a maggior ragione opportuno mettere in evidenza tutti gli sforzi che sono stati fatti per svolgere scrupolosamente un’attività.
In altre parole, i SEO-listoni sono pessimi strumenti per comunicare col cliente.
La ruota dell’analisi dei backlink
In epoca Penguin, un’attività che è diventata protagonista delle tattiche SEO è stata quella della bonifica dei backlink. Le aziende più lungimiranti hanno iniziato a mettersi in riga ben prima che Penguin nascesse, la stragrande maggioranza si è invece mossa a penalizzazione inferta.
Nel caso in cui un cliente sia “in odore di spam”, potrebbe essere una buona idea mostrarsi proattivi e proporgli un’analisi ragionata dei propri backlink, organizzata in modo da poter quantificare facilmente eventuali rischi e prendere decisioni su eventuali contromisure.
Siccome mi è capitato di svolgere attività simili, vi condivido un output di quello che si può ottenere analizzando le interconnessioni di alcuni siti web attraverso il preziosissimo strumento Clique Hunter di Majestic SEO e dando visibilità alle informazioni importanti con Gephi, uno dei più utilizzati software per il design di grafi.
Il grafo mostra in che modo i siti del cliente (i quattro nodi arancio più grossi) ricevono link da un network di siti spammosi di bassa qualità (colore nero) e da altri siti di qualità accettabile (nodi arancio più piccoli).
La caratteristica più utile è che le frecce che uniscono i siti sono state colorate in base al colore del nodo linkante. In questo modo è stato possibile quantificare in una sola schermata l’entità del linking proveniente dal network di spam, facilitando le decisioni su come gestire la situazione.
Il vero e proprio processo di analisi di un network di siti, tuttavia, non ha come output il grafico di cui sopra, perché il reale vantaggio di un software come Gephi è quello di poter modificare al volo alcuni parametri ed osservarne in tempo reale il risultato.
Nel caso in oggetto, per esempio, durante la fase di analisi interattiva i colori dei link sono stati cambiati in funzione del sito linkato (mettendo quindi in evidenza quali siti linkavano il network spammoso) e attraverso un semplice calcolo è anche possibile mettere in evidenza i link reciproci o, se si possiedono tutti i dati necessari, persino in che modo il PageRank viene distribuito tra i siti.
Al termine di una valutazione svolta con Gephi, se i punti salienti raccolti sono pochi, possono probabilmente essere forniti al cliente sotto forma di un paio di grafici. Tuttavia in caso di maggiori evidenze e spunti emersi dall’analisi, la stessa verrebbe in parte vanificata se non si cogliesse l’occasione per mostrare di persona (o via Skype) al cliente, Gephi alla mano, le valutazioni che sono state svolte e per spiegargli quali osservazioni hanno motivato i suggerimenti e linee guida SEO che il consulente ha fornito a seguito dell’analisi.
E il SEO-listone di backlink? Lo si butta via? No, sarà probabilmente necessario al cliente nel caso in cui il consulente abbia consigliato un’attività di bonifica dei propri backlink, ma va trattato e presentato come un documento di supporto ad un’attività, non come l’output principale dell’analisi che è stata svolta.
La ruota delle richieste di grazia
Visto che parliamo di SEO-listoni di backlink vale la pena dare un’occhiata anche agli ingranaggi delle richieste di grazia fatte al vescovo a seguito della ricezione di una scomunica per backlink spammosi.
Nel campo delle richieste di riconsiderazione a Google ne viste di tutte i colori:
- Proprietari di siti che peroravano animatamente la propria causa attraverso estenuanti oratorie sulla rettitudine dell’azienda e la sua morale immacolata
- Paraculi che asserivano con voce impastata e sbavature zuccherine di essere del tutto estranei al concetto di “marmellata rubata”
- Persone che realmente non capivano dove avevano sbagliato e che chiedevano inutilmente maggiori dettagli al team antispam
- Politicanti che pretendevano di spiegare (loro a Google, eh?) che cosa fosse spam e che cosa non lo fosse (loro a Google, eh?)
- Gli immancabili speditori di sterili SEO-listoni, quando era il caso di indicare quali URL contenevano backlink spammosi che non si riusciva a rimuovere, attività che veniva già svolta ben prima dell’introduzione del famigerato Link Disavow Tool.
Alcuni di voi potrebbero obiettare che i SEO-listoni di questo ultimo genere non dovrebbero essere annoverati tra le attività consulenziali di un operatore del campo del search marketing, in quanto Google non è un cliente. Io dissento: in questo caso Google è un cliente come qualsiasi altro, essendo un soggetto al quale si desidera vendere qualcosa. Nel caso specifico, si intende vendergli la validità di una tesi da sostenere o la genuinità di una redenzione avvenuta. In qualsiasi modo la vogliate vedere, Google è un soggetto al quale comunicare correttamente qualcosa e anche in questo contesto i SEO-listoni possono fare danni.
(alcuni SEO non percepiscono Google come uno stakeholder, cosa che a tutti gli effetti ovviamente è. Forse prima o poi ci scriverò un articolo sopra)
Una nota storica per farvi capire che nonostante l’introduzione del link disavow tool non è cambiato in realtà molto: la necessità di inviare a Google elenchi di backlink di bassa qualità che non si riuscivano a rimuovere è sempre esistita. Chi doveva farlo si limitava ad inviare una normale richiesta di riconsiderazione al team antispam, all’interno della quale spiegava nel dettaglio la situazione e indicava quali backlink non era possibile eliminare dal web, chiedendo dunque a Google che venissero ignorati.
Successivamente è stato creato il Link Disavow Tool, il cui nome è perlomeno fuorviante visto che non si tratta affatto di un “tool”, ovvero di uno strumento che in qualche modo automatizza l’attività di disconoscimento dei backlink, bensì di una procedura per comunicare in modo più ordinato al team antispam quali backlink sono indesiderati.
Non si pensi dunque che l’introduzione di questa procedura comporti un iter molto diverso da quello che prima veniva eseguito manualmente attraverso le normali richieste di riconsiderazione: sempre attraverso la valutazione del team antispam si deve passare. Pertanto anche se leggete “tool” è necessario approcciare il problema come una richiesta da spiegare e motivare agli esseri umani che leggeranno l’elenco dei backlink inviati. In altre parole, si tratta sempre di una causa da perorare davanti ad un giudice, non un comando che viene inviato al motore di ricerca.
Come approcciare dunque la comunicazione con Google nel migliore dei modi? Potrebbe forse farvi comodo un template di messaggio di provata efficacia da inviare a Google quando bisogna effettuare una riconsiderazione per backlink spammosi?
Ebbene, miei stimati lettori traspiranti essenza di mughetto e scevri da ogni debolezza umana, se il globo terracqueo fosse popolato esclusivamente da esseri illuminati ed evoluti come voi potrei anche pubblicare un template di messaggio con la raccomandazione di modificarlo approfonditamente e scrupolosamente, in modo da far percepire a Google un genuino e personale scrupolo a tornare sulla retta via…
…tuttavia, come già spiegato, siccome la fauna del pianeta SEO annovera anche specie filosoficamente inclini ad industrializzare ogni santissimo processo nonché un affollato sottobosco di esseri che si nutrono di “trucchi” e “formule magiche”, esiste l’effettivo rischio che un template si diffonda e passi di mano in mano per finire usato come una circolare da inviare in ciclostile a Google ad ogni necessità, vanificando il messaggio principale di queste mie proposte di reinvenzione delle ruote, ovvero: personalizzate e valorizzate la comunicazione.
Pertanto mi limiterò ad indicare gli obiettivi dell’attività e a consigliare una traccia generica, lasciando a voi il compito di scrivere di volta in volta il testo più opportuno.
Contesto: è arrivato un avviso da Google che avverte della presenza di backlink spammosi e comunica una penalizzazione. I proprietari del sito sono consapevoli di aver svolto attività di link building con l’obiettivo di gonfiare il PageRank del sito o di tematizzarlo per alcune query di ricerca e, comprendendo di dover svolgere un’attività di bonifica, sono in grado di (far) eliminare parte dei backlink ma non tutti.
Cosa significa: Google conosce già parte dei backlink spammosi e in teoria avrebbe potuto limitarsi ad ignorarli, come alcune volte di fatto avviene. La penalizzazione ed il relativo avviso sono invece il risultato di una ragionevole certezza che i gestori del sito abbiano svolto attività che sono andate ben oltre la sporadica produzione di pochi backlink con ancore ottimizzate. L’interesse di Google non è più quello di svalutare degli specifici backlink per impedire loro di influenzare le SERP ma è quello di penalizzare un soggetto incline ad utilizzare metodologie spammose.
Obiettivi: 1) cambiare filosofia di link building e abbandonare per sempre ogni attività di spam 2) bonificare lo scenario accennato nell’avviso di Google e 3) dare evidenza al team antispam di aver cambiato definitivamente rotta.
L’obiettivo di cui al punto 1 è quello che Google desidera osservare per poter concedere la riabilitazione del soggetto. Ancora, pongo volutamente l’evidenza sul fatto che dietro l’apparenza di una semplice notifica di backlink spammosi si cela in realtà un interesse di Google a chiarire la posizione e l’attitudine del soggetto che gestisce il sito. Non tentate di fare i furbi, perché Google potrebbe decidere di non concedere al sito una seconda chance.
L’obiettivo di cui al punto 2 si raggiunge facendo un’attenta, approfondita e dettagliata valutazione di tutti i backlink del sito, che vanno classificati in funzione di due principali criteri: qualità e possibilità di eliminarli o di farli eliminare.
Posto che si usi strumenti quali Excel (o simili) per organizzare i lavori, dovreste aggiungere per ciascun link anche una nota sul tipo di attività di link building che è stata svolta per produrlo (es: article marketing, comment spamming, directory submission, ecc.) ed una nota che indichi lo stato dell’eventuale attività di rimozione del link (es: rimozione ottenuta, rimozione richiesta, rimozione rifiutata, nessuna risposta ricevuta, ecc.).
Tutti i backlink frutto di dubbie attività devono essere possibilmente rimossi. Se volete approcciare la bonifica da kamikaze, potete approfittare dell’occasione per eliminare anche alcune tipologie di backlink di bassa qualità, anche se non siete stati responsabili della loro creazione.
Qualunque decisione prenderete, siate consapevoli che nella stragrande maggioranza dei casi le rimozioni influiscono negativamente sulla visibilità del sito. Questo effetto non è evitabile ed è possibile solo lavorare in futuro affinché la visibilità migliori a seguito di nuove attività di sviluppo della web popularity compatibili con le linee guida di Google.
L’obiettivo di cui al punto 3 va perseguito in modo leggermente diverso a seconda dei risultati dell’analisi dei backlink e della loro bonifica.
Se è stato possibile rimuovere la quasi totalità dei backlink spammosi e quelli residui rappresentano solo “pochissime briciole” di bassa qualità che non contribuivano molto a spingere il sito sulle SERP e presumibilmente venivano già ignorati dal motore di ricerca, il mio consiglio è semplicemente quello di inviare una normale richiesta di riconsiderazione seguendo questa semplice traccia:
- Ringraziare per l’avviso ricevuto
- Dichiarare di avere analizzato approfonditamente tutte le decine/centinaia/migliaia di backlink individuabili
- Confermare trasparentemente che una parte erano frutto di attività di link building svolte dal proprietario del sito o da chi per lui, specificando il tipo di attività di link building svolte
- Affermare di aver compreso che le azioni compiute vanno contro le linee guida di Google
- Precisare che a seguito della penalizzazione è stato rivalutato il proprio approccio alla SEO e che sono state revisionate le proprie procedure interne affinché questo tipo di attività considerate spam non vengano mai più approcciate in futuro
- Indicare che a fine del messaggio è presente sia una lista dei backlink rimossi (o un campione, nel caso in cui siano troppi per includerli in un messaggio testuale il cui primo obiettivo è dare evidenza del cambio di rotta) sia una lista dei pochi backlink che non è stato possibile rimuovere nonostante i tentativi
- Chiedere quindi che la penalizzazione venga rimossa e ringraziare per il supporto
Se invece le attività di bonifica non hanno consentito di rimuovere una buona quantità (in termini assoluti o percentuali) di backlink spammosi, è opportuno usare il Link Disavow Tool. In tal caso:
- Redigete scrupolosamente l’elenco di backlink che non vi è stato possibile eliminare
- Producete il file da fornire al “tool” seguendo le indicazioni ufficiali pubblicate sul blog di Google e sulla pagina delle FAQ dedicata
- Non dimenticate di inserire nel file dei commenti per spiegare perché non è stato possibile eliminare ciascun backlink o ciascuna classe di backlink. Aiutatevi con le note che avete prodotto in fase di bonifica.
- Uploadate la lista di backlink “irrimovibili” attraverso il tool
- Attendete un paio di giorni e poi inviate anche una richiesta di riconsiderazione, seguendo lo stesso modello suggerito sopra ma con la differenza che invece di includere nel messaggio i link che non è stato possibile rimuovere dovrete evidenziare al team antispam che la loro lista completa è stata già inviata attraverso il Link Disavow Tool.
Fine. Se sarete riusciti a non farvi percepire come semplici uploader di SEO-listoni bensì come mortificati rei confessi che si sono dati un gran da fare per ripulire il proprio profilo di backlink e che mai più solcheranno i tempestosi mari caraibici dello spamming corsaro, allora le cose prenderanno una buona piega.
La ruota dei ranking report
Chiudo questo elenco di ruote da reinventare con quello che per antonomasia è considerato il SEO-listone per eccellenza, ovvero quelle orripilanti ed interminabili liste di keyphrase con associate una presunta posizione nella SERP in cui il sito del cliente appariva in un non precisato istante, effettuando la richiesta da un non precisato luogo.
Non è obiettivo di questo articolo rimarcare l’anacronisticità di tali SEO-listoni. Mi limito invece a fornire qualche indicazione di massima affinché si possa percepire dietro la loro produzione lo scrupolo di un essere umano nei confronti degli obiettivi del cliente invece che la potenza di una funzione “Esporta” di uno dei tanti software di controllo del ranking che esistono.
Come primo passo è necessario modificare gli obiettivi che stanno dietro la produzione dei report di ranking tradizionali.
In tutti i casi che ho osservato, il report viene prodotto per dare evidenza dei risultati delle attività di posizionamento previste dal contratto di fornitura che è stato stipulato col cliente. Si tratta quindi di un’istantanea scattata solitamente una volta al mese e motivata principalmente dal fatto che c’è un contratto che prevede di fornire periodicamente al cliente quella roba.
Ricorda un po’ lo scontrino che gli esercenti dei negozi consegnano alla clientela: un mero obbligo che non viene sfruttato per evidenziare il lavoro e lo scrupolo che sono stati profusi nei confronti del cliente.
Posto che effettivamente sussista il desiderio di rendere un report di ranking uno strumento più utile e significativo, la prima modifica che propongo è quella di effettuare i controlli di visibilità quando realmente servono e sono opportuni, non (principalmente) a scadenze prefissate da un contratto.
Con tutte le attività di ottimizzazione che vengono svolte per i clienti è normale che prima o poi vengano prodotti effetti sulla visibilità nelle SERP. Il monitoraggio della visibilità è inoltre utilissimo per prendere atto degli effetti (negativi o positivi che siano) conseguenti alcune attività SEO critiche, come una migrazione di un sito, la modifica di grandi quantità di URL, di contenuti o di link interni al sito stesso.
Ha pertanto molto più senso iniziare a considerare il monitoraggio della visibilità un’attività diagnostica dello stato di salute del sito.
Ha senso comparare la visibilità precedente e successiva ad una implementazione corposa, ha senso dare visibilità al cliente dei risultati conseguiti e di eventuali anomalie osservate, ha senso sfruttare i dati raccolti per motivare al cliente nuove attività di ottimizzazione, ha senso fargli percepire che esiste un processo che si prende cura dello stato di salute del sito anche durante quel mese di silenzio che solitamente passa tra un “report di contratto” e il successivo.
Modificato l’obiettivo, ecco adesso alcuni suggerimenti in più sui contenuti e la forma del report:
- Se potete mandare all’aria il concetto di posizione e sostituirlo con quello di posizione media, fatelo e strutturatevi per evangelizzare i clienti in tal senso e produrre report coerenti con questo nuovo modello.
- Prendete spunto dai colleghi del keyword advertising e prendete l’abitudine di classificare le query, per esempio apponendo dei tag legati al loro tema o classe di prodotto/servizio. Questo suggerimento è particolarmente importante per i siti che ospitano una varietà molto ampia di contenuti e argomenti. Fate conto che si tratti di un negozio ed iniziate a farvi scrupolo delle prestazioni di ciascun reparto nel corso del tempo. Se potete, calcolate e fornite un indice di visibilità per l’intero reparto invece che per le singole keyword, tecnica che tra le altre cose vi consentirà di accorgervi subito di eventuali penalizzazioni o “promozioni” relative a specifiche classi di query o di risorse.
- Indicate sempre quali risorse del sito appaiono nei risultati delle ricerche. Per alcune classi di query è importante che le risorse visibili siano quelle legate alla vendita, per altre classi di query è opportuno che appaiano in SERP delle risorse informative. Più in generale, è essenziale fare attenzione che la risorse preferite dal motore siano effettivamente quelle che presumibilmente gli utenti troverebbero più utili e attinenti (in base ad un’analisi del target e delle query utilizzate che in teoria avreste dovuto fare a monte).
- Siate elastici nelle modalità di erogazione dei report: se a seguito di un controllo periodico avete notato un fenomeno che richiede un interessamento vostro e del cliente in tempi brevi, lasciate perdere query e posizioni e inviate al cliente una normale mail nella quale trattate il fenomeno specifico. Il che ci porta anche all’ultimo consiglio per reinventare il SEO-listone di ranking…
- …ad ogni report inviato spiegate sopratutto al cliente che cosa è successo dal check precedente, quali sono le novità salienti che emergno dall’ultimo check, su quali elementi a vostro parere bisognerebbe lavorare, se vengono percepite criticità di qualsiasi natura e se ci sono opportunità che sono emerse sia dal check di visibilità sia dal corrispondente controllo della qualità del traffico che in teoria dovreste sempre accoppiare. Usate il formato che preferite, sia esso un breve documento PDF o una semplice mail o una presentazione, ma mettete sempre al centro della comunicazione questa vostra valutazione e non il SEO-listone.
Queste indicazioni e suggerimenti, frutto dell’analisi periodica o estemporanea della visibilità di un sito, costituiscono una delle principali ragioni per le quali un consulente viene pagato dal cliente. Se questo supporto viene sostituito da uno sterile SEO-listone prodotto da un software, equivale a rinunciare ad un’opportunità di crescita professionale ed economica.
Ovviamente, come già detto per altre ruote da reinventare, il SEO-listone con i dati dettagliati può comunque essere fornito, purché rimanga relegato ad un contesto secondario e si ponga in primo piano quel tipo di consulenza che solo un essere umano può produrre e fornire.
Altre ruote da reinventare
Esistono tantissime altre ruote che si potrebbero prendere in considerazione per reinventarle in toto o in parte.
Il primo esempio che mi viene in mente è il famigerato documento di analisi tecnica SEO, che solitamente consiste di SEO-listoni di criticità rilevate e di soluzioni da apportare. Ma trattare questo tipo di attività meriterebbe un articolo a sé.
Di SEO-listoni ne esistono molti altri, come l’output del crawling di un sito (che raramente ho visto fornire ad un cliente in forma aggregata) o gli utilissimo log del web server, che possono essere analizzati per individuare potenziali criticità e opportunità per una maggiore visibilità.
Ma qui mi fermo perché la triste realtà è che mi sono scocciato di scrivere così tanto. 😀
Conclusioni
Sono consapevole di non aver realmente perorato la causa del search marketing più incline alla consulenza, perché fornendo solo esempi di modifiche di specifiche attività SEO non mi sono focalizzato sul vero aspetto aziendale che influisce e determina il modo in cui la SEO viene svolta: il modello di business dell’operatore del search marketing.
Ci sarà però modo di parlarne in futuro, sopratutto perché per passione rimango un attento osservatore di come il nostro settore è cambiato e sta cambiando sempre più.
Per il momento, visto che scrivo questo articolo in data 30 dicembre, mi limito ad archiviare questo anno 2012, che tanti grattacapi personali mi ha regalato ma che mi ha permesso anche di risolvere in via definitiva. E quindi auguro a tutti voi uno splendido nuovo anno, come sono certo che sarà anche per me. 🙂
Epilogo
Everything in this article may be wrong. (cit.)
P.S.
Pensavo che sarebbe interessante parlare di argomenti simili in qualche evento. Giusto per dire.
Pingback: La Seo nel 2013, se ancora si chiamerà così...
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