Benedetta SEO, maledetta SEO

Angelo e diavolo

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un documento di linee guida SEO, prodotto da un’agenzia e presentato ad un’azienda cliente.

Nel corso degli anni ho avuto l’opportunità di osservare diversi documenti del genere, un po’ per caso ed un po’ perché ho svolto per alcune agenzie degli audit dei propri documenti, volti a controllare la correttezza e la qualità delle linee guida SEO prodotte.

Questa volta però i contenuti del documento che avevo per le mani mi hanno colto di sorpresa e, giunto ad una specifica pagina, mi son messo a ridere come un ebete, senza riuscire a trovare freno all’ilarità.

Il testo che avevo davanti agli occhi era infatti un becero copia-e-incolla di un pezzo di una guida SEO che ho scritto quindici anni fa e che avevo pubblicato sul mio vecchio sito, Motoricerca.info.

Adesso vorrei raccontarvi tutto per bene, spiegarvi perché quel copia-e-incolla è un sintomo di un vasto problema sofferto dalla SEO e approfittare dell’occasione per fare qualche considerazione sullo stato di salute della “industria” SEO, sopratutto per ciò che riguarda le competenze di chi ci lavora.

La storia si ripete

Circa quindici anni fa vengo assalito dallo sghiribizzo di scrivere una guida SEO e di pubblicarla gratuitamente sul web. L’operazione aveva all’epoca un senso perché la disciplina SEO era un mostriciattolo semisconosciuto e di difficile approfondimento per mancanza di fonti italiane.

Oggi non manca certo il materiale SEO da cui studiare (perché, è risaputo, chiunque può scrivere di SEO) ma quindici anni fa la faccenda era assai diversa. Anche per questa ragione, la mia guida ha conosciuto una discreta popolarità in Italia, essendo uno dei primi testi prodotti sull’argomento.

La popolarità ha comportato anche un effetto collaterale negativo: una prolificazione di soggetti che copiavano barbaramente i contenuti della guida spacciandoli per propri o comunque senza mai citare la fonte.

Il mio primo e ingenuo approccio fu quello di tentare di rispondere agli autori delle copie, segnalando che il diritto d’autore proteggeva la mia opera e bla bla bla. Ma più il tempo passava e più il sottoscritto si rese conto che era una gara persa in partenza: per ogni copia eliminata dal web ne apparivano altre cinque. Il sottoscritto ha definitivamente gettato la spugna quando ha trovato la propria guida trasformata in slide usate da un assistente di un’università di Milano per introdurre gli studenti alla SEO. Ovviamente, la fonte non veniva citata.

Diciamoci la verità: un po’ si prova orgoglio, perché quei testi illecitamente copiati hanno probabilmente svezzato un po’ di studenti e webmaster in erba, ma un altro po’ si subisce una titanica rivoluzione ellittica di sferoidi. Tipo un sistema solare, ma concentrato sulle parti basse.

Credo che l’apice del fenomeno sia stato raggiunto quando, in un’altra occasione, sono stato convocato da degli organi inquirenti per rilasciare una deposizione in cui affermavo che quei testi erano effettivamente opera mia. Non vi dirò a che cosa è servita quella testimonianza, ma posso fare una considerazione generale: il fatto che io non faccia più controlli su chi copia la mia roba non implica che il fattaccio non possa essere scoperto da qualcun altro, a svantaggio di chi ha spacciato e magari venduto quei testi come se fossero farina del proprio sacco. Il messaggio è: stateve accuort’.

Sono quindi abbastanza abituato a ritrovare i miei testi qua e là, tuttavia più tempo passa e più rimango incredulo, perché con gli anni le linee guida date in quei testi sono diventate in parte obsolete e mi stupisco che ci sia ancora gente che le suggerisca ai propri clienti.

In particolare, il pezzo di guida copia-e-incollato nel documento che citavo ad inizio articolo riguardava un tema ben preciso, ovvero “Dove inserire le keyword“, un argomento che a mio parere può portare a suggerimenti fuorvianti. Mo’ vi spiego perché.

Keyword un tot al chilo

Quindici anni fa i principali motori di ricerca erano grandemente meno sofisticati rispetto a quelli che esistono oggi. I metodi usati per stabilire la posizione delle risorse nei risultati di ricerca erano sostanzialmente riconducibili ad una semplice accoppiata di attinenza (tra la query dell’utente e ciascuna risorsa) e popolarità (o autorevolezza di ciascuna risorsa).

La caratteristica di attinenza era a sua volta calcolata dai motori in base alla presenza nei documenti delle parole usate dagli utenti nelle query. Banalizzando un po’ il concetto, si può dire che per rendere un documento più attinente ad una query o parola chiave era importante accertarsi che tale query o tale parola chiave apparisse in punti chiave della pagina web.

Di conseguenza, quindici anni fa aveva senso suggerire ai webmaster o ai clienti di scrivere e ripetere spesso in più punti della pagina le parole della query per cui ci si voleva posizionare.

Questo tipo di raccomandazione nascondeva tuttavia due messaggi pericolosi per chi si avvicinava alla SEO:

  1. l’approccio al copywriting SEO era focalizzato su parole chiave da inserire nei testi;
  2. l’attinenza di un documento era legata principalmente a quante volte le parole chiave apparivano al suo interno.

Far percepire alla gente che la tematizzazione di un testo si basava essenzialmente sulla quantità di citazioni di una o più parole era probabilmente corretto quindici anni fa, tuttavia si trattava di una linea guida SEO che non avrebbe superato il passaggio del tempo, perché riguardava solamente l’aspetto quantitativo delle parole, mettendo in secondo piano l’aspetto qualitativo dei testi.

Oggi (scrivo questo articolo nel 2016) spiegare a qualcuno che un copywriting compatibile con la SEO si riduce all’inserimento di parole in punti chiave di una pagina è sia ingenuo sia diseducativo.

E’ ingenuo perché in quindici anni i motori di ricerca ed in particolare Google hanno fatto passi da gigante nell’analizzare i testi delle risorse, passi complessi e che strizzano l’occhio ad analisi sempre più semantiche e sempre meno legate al conteggio di ricorrenze.

E’ diseducativo perché suggerire alla gente di gestire le parole “un tot al chilo” fa percepire una SEO semplicistica, svalutandola da disciplina complessa a insieme di espedienti terra terra.

C’è di più: l’approccio quantitativo di testi e parole è spesso legato ad un ulteriore concetto SEO da cui a mio parere sarebbe bene prendere le distanze, ovvero quello di landing page esterne alla navigazione principale del sito. Le due cose vanno spesso in coppia perché chi si appresta a produrre una pagina ottimizzata per i motori di ricerca, ricca di citazioni di keyword, la considera a volte un elemento talmente estraneo al sito da non includerla nella navigazione principale, linkandola da sezioni secondarie. Anche in questo caso, il messaggio che si trasmette è diseducativo, perché viene suggerito implicitamente che la SEO non è un insieme di pratiche coerenti e compatibili con i contenuti e l’architettura dei siti ma che, al contrario, rappresenti un insieme di tattiche ed espedienti, da attuare attraverso elementi estranei al sito stesso.

Vabbè, chiusa la parentesi sulle landing page. Torno invece all’argomento delle keyword un tot al chilo, per concludere che oggi non si può fornire indicazioni sul copywriting SEO estratte da una guida scritta quindici anni fa, quando tutto era diverso.

Non è un caso che questo approccio quantitativo traspaia all’esterno della cerchia degli addetti ai lavori e che nell’immaginario collettivo la SEO venga vista come un insieme di espedienti che poggiano più sulla quantità che sulla qualità. Date un’occhiata allo screenshot che segue, preso da un articolo dal titolo “Proletari Digitali” che l’Espresso ha scritto tempo addietro e che descriveva, tra varie professioni del web, anche la professione del SEO.

La definizione di SEO dell'Espresso

Cazzo, “a valanga”! Notate la presenza dell’aspetto quantitativo? Vedete per caso cenni di aspetti qualitativi? Per quanto la descrizione dell’Espresso faccia accapponare la pelle, è a mio parere importante considerarla un discreto reality check, un’indicazione di come i SEO appaiono agli occhi dei non addetti ai lavori. Lo spettro del link o della keyword da erogare e vendere un tot al chilo è reale e incombe su tutti noi e sarà difficile sdoganarsi da questa figura di venditore di paccottiglia.

Questo è il link all’articolo dell’Espresso. Anche se non vi va di leggerlo, sappiate che la SEO ne esce fuori come un’attività robotizzata, da far fare a personale di bassa manovalanza. E sapete una cosa? (non vi incazzate) In parte ci hanno azzeccato.

C’è una ragione molto pratica se stralci obsoleti di quella mia guida vengono ripresi (e rivenduti) anche oggi e cioè che sul mercato SEO si osserva una grande eterogeneità tra gli operatori del settore. Provo a farne una classificazione in base ad un elemento importante, la competenza.

L’iceberg delle competenze SEO

Due principali e importanti condizioni del mercato di cui bisogna prendere coscienza è che la SEO non viene venduta solo da chi la sa fare e che non viene venduta solo a chi ne ha bisogno. Al contrario, le tattiche di vendita più aggressive che esistono nel settore partono dal presupposto che un servizio SEO possa essere venduto anche alle pietre e prescindono da quanto l’erogazione del servizio sia poi fattibile o facile. Prima si vende, poi si pensa al resto.

La possibilità di operare questo approccio è dovuta al fatto che nel corso del tempo la SEO si è guadagnata la nomea, sia tra le aziende clienti sia tra gli operatori web, di attività di cui nessuno può fare a meno. A sua volta, questa nomea è nata in parte perché le aziende clienti hanno acquisito una consapevolezza maggiore di come funziona il web ed in parte perché diversi servizi SEO low cost sono stati venduti da alcune aziende che erano in condizione di promuoverli capillarmente sul territorio nazionale.

Ho incontrato diverse agenzie web che, dedite allo sviluppo di siti, si son ritrovate a dover vendere servizi SEO solo perché i clienti iniziavano a chiederli. Parte del quadro che mi sono costruito nel corso degli anni è stato quindi quello di un mercato che in un certo senso è stato “costretto” a portarsi al passo coi tempi, prescindendo da quanto vendere un servizio SEO rientrasse nelle sfere e nelle competenze dell’agenzia presa in esame.

Acquisire competenza tuttavia costa. I lettori di questo blog, per il solo fatto che si stanno sciroppando un articolone prolisso sul tema, possono tranquillamente considerarsi dei soggetti che investono tempo in conoscenza e che si aggiornano su siti come questo; tuttavia questo non è un modus operandi comune o diffuso.

Provo a classificare dunque gli operatori sulla base delle proprie competenze e di quanto fanno per migliorarle, partendo dalla base dell’iceberg. La classificazione è soggettiva e fatta in base a quanto ho osservato io. Può non combaciare con valutazioni altrui.

Iceberg delle competenze SEO

Servizi SEO non erogati

A questa categorie appartengono tutti quei soggetti che non possiedono competenze SEO e che hanno deciso di non proporre servizi SEO alla propria clientela. Potrebbe sembrare a prima vista una decisione coerente, tuttavia esistono alternative valide, in grado di farsi scrupolo delle esigenze del cliente. Si veda per esempio la categoria che segue.

Servizi SEO dati in outsourcing

In questa categoria rientrano quegli operatori del settore che non possiedono competenze SEO consistenti ma che hanno deciso di proporre comunque tale servizio ai propri clienti rivolgendosi a terzi.

Il triangolo amoroso tra l’azienda che dà il servizio in outsourcing, quella che svolge le attività SEO ed il cliente presenta intrinseche criticità, di cui bisogna essere consapevoli per neutralizzarne gli effetti negativi. In particolare, io sono giunto alla conclusione che è indispensabile che il servizio SEO venga proposto e venduto al cliente col supporto degli stessi soggetti che poi svolgeranno le attività. Grandi casini aggiuntivi possono inoltre emergere nel momento in cui l’azienda che dà il servizio in outsourcing lo fa in condizioni di white label, ovvero senza voler far apparire al cliente l’esistenza del terzo soggetto e in particolare senza far dialogare direttamente il cliente con il personale che possiede le competenze SEO.

Dal punto di vista delle competenze SEO, chi dà in outsourcing l’attività deve possedere quelle conoscenze che gli consentano di continuare a supervisionare il progetto e a controllare che esso proceda nel migliore dei modi. E’ importante che tale ruolo costituisca un valore aggiunto per il progetto e che non si riduca ad essere invece una semplice intermediazione che rallenta i processi senza apportare valore.

I soggetti che danno in outsourcing attività SEO solitamente non si aggiornano costantemente sulle novità del settore e raramente investono in formazione SEO.

Personale che svolge anche attività SEO

A questa categoria appartengono, per esempio, quelle agenzie che hanno deciso di incamerare competenze SEO per poter proporre ed erogare autonomamente tali servizi ai propri clienti.

Il personale che si occupa della SEO, tuttavia, deve anche svolgere parecchie altre attività e pertanto non si tratta di dipendenti che sono focalizzati sulla SEO ma dipendenti che devono smazzarsi attività di ogni genere, SEO compresa. Tali condizioni rendono difficile l’acquisizione di competenze molto profonde e pertanto il tipo di servizio SEO erogabile può seguire approcci SEO “old style” e a volte legati a procedure un po’ industriali (selezione keyword + produzione landing page).

Il tempo dedicato alle attività di formazione e aggiornamento SEO deve necessariamente essere limitato e deve tener conto delle esigenze di aggiornamento sulle altre discipline. L’agenzia può stanziare un budget annuale di una manciata di migliaia di euro da sfruttare per la formazione (su tutte le discipline) del personale. La formazione avviene principalmente aggiornandosi online, la partecipazione ad eventi di settore è rara e comunque focalizzata solitamente sui canali di marketing che hanno un ritorno sull’investimento più immediato e più facilmente tangibile per la clientela.

Con tutta probabilità, l’agenzia che ha prodotto il documento SEO citato ad inizio articolo appartiene a questa classe di competenza: le linee guida fornite sono basilari e in alcuni punti anche obsolete o fornite sulla base dei “sentito dire”. A conferma di ciò va aggiunto che, dando un’occhiata al sito dell’agenzia, appare chiaro che essa non si propone sul mercato come esperta SEO. E’ dunque coerente che, in mancanza di forti competenze, qualche dipendente sia stato indotto a creare un documento di linee guida attingendo anche da quanto si può raccattare sul web, senza possedere le competenze per comprendere quanto era grano e quanto era loglio.

Personale dedicato alla SEO

In questa categoria ho voluto inserire quegli operatori del settore che hanno investito per dotarsi di personale dedicato in maniera specifica alla SEO ma che non si posizionano in cima alla piramide a causa della tipologia di servizi SEO offerti.

Esistono infatti tipi di servizi SEO molto standard, per i quali non è necessaria una cultura elevata ma è sufficiente far proprio un processo di produzione di contenuti (testi, link, recensioni, ecc.). E’ il caso tipico di chi ottimizza i siti producendo landing page dedicate a specifiche keyword: una volta appreso il metodo, esso può essere replicato senza troppi problemi da chiunque abbia imparato a ricercare query degli utenti e a scrivere testi ottimizzati. Per le aziende che svolgono servizi SEO di tale genere, non è indispensabile investire in formazione oltre a quella strettamente necessaria ai dipendenti per poter erogare il servizio.

Di contro, esistono agenzie o operatori freelance che invece forniscono servizi SEO più consulenziali e “custom”, ovvero cuciti su misura a seconda delle esigenze del cliente. A costoro viene dedicata la punta dell’iceberg.

Esperti SEO

In questa categoria ricadono tutti quei soggetti che hanno investito maggiormente per acquisire una competenza SEO vasta e conoscenze dettagliate. Tali competenze non si limitano alla conoscenza di tattiche SEO o all’apprendimento di un metodo da applicare sistematicamente per erogare servizi inscatolati, ma vanno oltre e approfondiscono, tra le tante cose, il funzionamento dei motori di ricerca ed il modo con cui essi interagiscono con i siti web.

Le competenze includono le valutazioni di come i consumatori usano i motori di ricerca, l’analisi dei competitor dei clienti, la localizzazione dei siti dedicati a nazioni diverse, la (ri)progettazione delle architetture dei siti, la valutazione degli aspetti SEO tecnici, l’ottimizzazione del codice HTML, la produzione di linee guida per il copywriting, la conoscenza dei funzionamenti di motori di ricerca verticali come quello “local” e quello delle news, la gestione di aspetti tecnici quali l’accesso sicuro alle pagine web e l’ottimizzazione della velocità percepita da utenti e spider. Spesso tali soggetti possiedono anche competenze di web analytics, nozioni di usabilità e basi per l’ottimizzazione del conversion rate.

Le aziende appartenenti a questa categoria investono molto in formazione e aggiornamento, dotandosi di un percorso di formazione interno, facendo partecipare i dipendenti ad eventi di settore e dotandoli di documentazione e materiale da leggere. Il dipendente viene visto come un asset di grande valore, che l’azienda ha tutto l’interesse a far accrescere sempre più, in modo da potersi posizionare sul mercato come azienda esperta e specializzata in SEO.

La categorizzazione che ho appena proposto è volutamente schematica e rigida, ma nella realtà è facile imbattersi in agenzie che potrebbero essere assegnate a più di una categoria. Prendete pertanto la mia classificazione come un semplice esercizio per tentare di dare un po’ più di senso ad uno scenario che nella realtà è molto complesso.

Un esempio di un soggetto che non rientra nelle categorie citate è quello di qualcuno che accetta di svolgere un’attività SEO senza averne le competenze. Personalmente non ho incontrato molte persone che rientrano in questo identikit ma diversi miei colleghi lamentano la presenza di tanti soggetti che si improvvisano SEO.

Adesso che è stata data una classificazione di chi lavora nel nostro settore, va specificato che l’iceberg possiede una punta molto piccola ed una base molto grande. In altre parole, la quantità di soggetti che svolgono attività SEO “vecchio stile” è molto più alta dei soggetti che hanno deciso di puntare all’acquisizione di competenze d’eccellenza.

Quando il sottoscritto partecipa agli aperitivi markettari milanesi, che vedono protagonisti i dipendenti di diverse agenzie di search marketing, è consapevole di stare interagendo con soggetti che si posizionano in cima all’iceberg. La fortuna di poter condividere le mie esperienze con colleghi esperti di search marketing non deve però farmi dimenticare che tali persone sono rappresentative di una parte minoritaria del mercato. Il grosso del mercato è rappresentato dalla parte sommersa dell’iceberg ed è composto da chi si arrabatta, da chi si improvvisa, da chi propone pacchetti precotti, dai proletari digitali citati dall’Espresso. Per queste persone, trovare una guida scritta quindici anni prima da un deficiente e farne copia e incolla nel documento da vendere al cliente appare un’opzione del tutto normale e praticabile.

La puzza al naso

Un grande, gigantesco errore da non commettere è quello di considerare l’esercizio di classificazione che ho appena proposto come un modo per evidenziare la presunta bassa qualità di alcuni servizi.

Sono consapevole che la “reazione di pancia” che si ha di fronte ad alcuni servizi più semplici o più abbozzati può essere quella di considerare chi li eroga dei carciofari, ma esorto tutti a riflettere sul fatto che tutti i tipi di servizio esistenti vanno sempre incontro ad una domanda del mercato.

In passato mi è capitato di dover svolgere e coordinare attività SEO per l’erogazione di servizi low cost e quell’esperienza mi ha insegnato che anche i servizi più modesti possono essere portati avanti e svolti con grande dignità, portando spesso a risultati soddisfacenti per il tipo di investimento affrontato dal cliente.

Non tutte le aziende sono disposte o interessate ad investire budget notevoli e non tutti gli operatori del settore SEO sono interessati a proporre servizi di consulenza dal costo sostenuto. Il mercato è composto da aziende di ogni genere ed è fisiologico che siano nati per esse servizi molto vari, da quelli low cost fatti di landing page e di report di posizionamento TOP10 a quelli cuciti su misura al cliente col portafoglio gonfio.

Non deve nemmeno essere commesso l’errore opposto, ovvero quello di considerare ogni servizio di “top gamma” un servizio intrinsecamente di qualità. Osservo ancora diverse agenzie fare offerte che propongono attività scaturite fuori più dalla fantasia dei SEO che dal risultato di analisi approfondite.

Si tratta di un fenomeno fisiologico e dovuto al fatto che in fase di offertazione non è possibile investire una grande quantità di tempo per studiare il cliente ed il suo mercato. Di conseguenza, l’offerta viene spesso prodotta attingendo a “pacchetti” di attività già ideate e pronte all’uso, col rischio che le varie offerte ricevute da un cliente si somiglino un po’ tutte.

(non proporre affatto una strategia ma tentare di vendere al cliente la definizione di una strategia è invece ancora in buona parte fantascienza, ma su questo argomento divagherei e quindi chiudo la parentesi)

Chiarito che è inopportuno tenersi la puzza al naso e classificare i servizi in buoni e cattivi a seconda di quanto ci piacciono, è arrivato però il momento di svuotare la pancia e dirvi che cosa di maledetto il sottoscritto trova nella SEO e che cosa di benedetto ci ha invece trovato.

Senza alcun ordine in particolare. Pronti? Via!

Maledetta SEO

Le keyword un tot al chilo. Le selezioni keyword e le annesse paginette di landing. I report di posizionamento, tutti. Chi mi copia. Quelli che la SEO è solo contenuti e backlink. La smania di usare tool. I tool che sollevano i SEO dall’attività di ragionare. I documenti di offerta che vengono spacciati per strategie SEO. La comunicazione orrenda di Google. Quelli che non hanno ancora maturato un metodo per interpretare le comunicazioni orrende di Google. Lo spam fatto senza testa. Le ambiguità delle linee guida dei motori. I falsi positivi delle penalizzazioni. Le lamentele di chi è stato penalizzato per aver fatto pupù. Chi si improvvisa. Gli studi statistici sui fattori di ranking. Tutti quelli che non hanno mai studiato statistica e che abboccano come pesci al fascino pseudo-scientifico degli studi sui fattori di ranking. I presunti guru. Chi è affascinato dai presunti guru. Chi confonde popolarità con competenza. Chi si aggiorna una volta l’anno andando al convegno SEO. Chi crede che la SEO fatta all’estero sia più sofisticata. Quelli che “E’ colpa di Google, che ha cambiato l’algoritmo”. La navigazione “faccettata“. Lo strumento di rimozione risorse di Google Search Console. La memoria indelebile di Google, che ti mostra 404 risalenti a secoli prima. I siti web fatti ad cazzum. I web server di Microsoft. La negative SEO. I testi creati solo per i motori di ricerca. Il link building becero. La comparazione di SEO e social marketing. I progetti dove non c’è uno straccio di storico delle attività. Le congetture SEO basate sul nulla. La sovra-semplificazione degli algoritmi dei motori. Gli eventi SEO basati più sui nomi altisonanti degli speaker che sui contenuti. Quelli che Google mi ha buttato giù perché non investo più in AdWords. Quelli che i commerciali di Google gli hanno detto che investendo in AdWords c’è un ritorno positivo sull’organico. Gli aspetti negativi dei tag manager. La diatriba su quanto la SEO sia viva, morta o moribonda. La comparazione di white hat e black hat, come se fosse una gara testosteronica a chi ce l’ha più lungo. Quelli che considerano Panda una algoritmo di penalizzazione. I miti e le leggende SEO. Gli indici proprietari, come il Domain Authority. La keyword density. I segnali di ranking politici, come la lentezza del sito e l’uso del protocollo HTTPS. I luoghi di discussione SEO online dove si fa gara ad insultare Google o altri soggetti. Quel tipo di “reputation management” che in realtà è insabbiamento di informazioni nelle SERP dei motori. Quel casino del Robots Exclusion Standard.

Benedetta SEO

Le nuove leve SEO (quantomeno quelle che frequento io). I progetti in cui prima si fanno analisi approfondite per acquisire dati e poi si usano i dati per stabilire quale strategia SEO adottare. Le analisi di mercato fatte sbirciando le query dei consumatori. L’analisi di dati con Excel. Gli aperitivi markettari milanesi e le SEO Birre. Il fatto che nella SEO nulla è scritto sulla pietra. La condivisione di metodologie e strumenti. Le attività di indagine per scoprire criticità e magagne del passato. L’ottimizzazione di siti giganti e complessi. SearchBrain. Lo sviluppo di tool SEO che ti sollevano da attività scimmiesche. L’analisi della distribuzione del PageRank di un sito. I CMS orrendi, perché se riesci ad ottimizzare i loro siti, puoi ottimizzare anche le pietre. Gli eventi di Giorgio Taverniti & team. I SEO superbravi che nessuno conosce perché poco sociali. Sfatare miti e leggende SEO. La bonifica di backlink e le de-penalizzazioni. L’interazione con colleghi SEO esteri attraverso Google+. Gli eventi SEO basati più sui contenuti che sugli speaker. Smontare il giocattolo Google per vedere come funziona dentro. Le aziende che investono in formazione SEO. La “rivoluzione mobile“. L’information retrieval. Osservare il traffico organico che va su. Fare scraping di roba di Google. Influenzare il Knowledge Graph. Configurare le piattaforme di analytics affinché estraggano informazioni fighe dai referrer del traffico proveniente da Google. Gli aspetti positivi dei tag manager. Lo studio degli utenti target di un’azienda. I test SEO. Fare formazione. Non smettere mai di imparare.

Conclusioni

Spero che abbiate letto le maledizioni e le benedizioni tutto d’un fiato e che il giro sulle montagne russe vi abbia rinvigorito per affrontare un 2016 all’insegna della qualità. Buon anno SEO a tutti!

P.S.
Ma lo sapete che ho una newsletter SEO con oltre tremila iscritti? Andate sul mio sito di lavoro per iscrivervi e ricevere gratis linee guida e suggerimenti SEO.

40 Responses to Benedetta SEO, maledetta SEO

  1. Pingback: SEO e keywords: esistono strategie e tecniche efficaci? | SERIAL EYE

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