Campagna contro l’abuso del termine “virale”

Lo leggo molto spesso sui siti dei consulenti markettari e allora ho deciso di imbastire la mia personale campagna contro l’abuso del termine “virale”, cioè quando usato come aggettivo per un prodotto che è ancora in fase di ideazione, progettazione o realizzazione.

Esempio: “Adesso scrivo un articolo virale”, oppure “Il cliente ha commissionato un video virale”.

Reality check: in fase di produzione di qualcosa, l’aggettivo “virale” non può essere attribuito al prodotto che deve ancora nascere, perché la viralità è un fenomeno che si manifesta, solo a volte, quando il prodotto è stato ultimato e presentato al pubblico.

Grafico degli influencer

Visualizzazione di fenomeno virale scaturito dalla pubblicazione di un precedente articolo.

Nessuno direbbe: “Questa mattina devo scrivere un articolo famoso” o “Sto scrivendo il soggetto di un film popolare”, perché gli aggettivi “famoso” e “popolare” non sono una caratteristica intrinseca del prodotto o un attributo col quale il prodotto nasce.

Per la stessa ragione, non si può produrre niente di virale. Al massimo si può produrre qualcosa che poi la gente diffonderà viralmente, perché considerato molto interessante.

L’abuso del termine “virale” che osservo in giro, al di là delle considerazioni sulla presunzione di chi vorrebbe far credere di poter produrre qualcosa di intrinsecamente virale, è un uso errato della logica e genera un’aberrazione linguistica.

Il mio consiglio è di togliersi dalla testa l’aggettivo “virale” quando attribuito a qualcosa che deve ancora nascere, tornare a produrre cose interessanti e vivere la viralità come una possibile conseguenza della qualità del proprio lavoro, non come un prodotto da supermercato da includere nella lista della spesa da proporre ad un cliente.

La viralità è un riconoscimento concesso dalla gente, non una caratteristica infusa dal realizzatore.

My two cents.

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