Studi sui fattori di ranking: distinguere quelli utili da quelli farlocchi

In fondo a questo articolo c’è un’infografica. Lo scrivo in cima altrimenti c’è il rischio che ve la perdete.

Non ho mai fatto mistero della mia avversione per qualsiasi tipo di studio dei fattori di ranking. Taglio corto e spiego che la ragione è che, a prescindere dalle buone intenzioni degli autori, i risultati di questi studi sono quasi sempre fuorvianti e a volte dannosi.

Viene subito alla memoria l’aneddoto che mi ha raccontato un esperto (e popolare) collega, a cui è capitato di dover essere valutato da persone poco addentro al settore SEO sulla base dei risultati di uno studio di fattori di ranking, considerato al pari di una bibbia.

Il problema di fondo, tuttavia, è che tali studi rafforzano nelle persone l’idea che i segnali presi in considerazione dai motori di ricerca per il ranking siano valevoli per tutti i siti e che possiedano un peso intrinseco invece di un peso che varia a seconda dei casi, come avviene sempre più spesso.

Il rischio è dunque che gli studi che hanno l’obiettivo di riassumere e sovra-semplificare un fenomeno complesso come il ranking vengano presi in considerazione senza quel grano di sale che impedirebbe alla gente di creare danni. La quantificazione di tale rischio è molto soggettiva e dipende solo da quanto ciascuno di noi ritiene il sale un elemento abbondante nella zucca delle persone.

L’obiettivo del presente articolo è costruttivo/istruttivo e quindi, spronato da un paio di recenti studi sui fattori di ranking di Google, uno dei quali pubblicato da un’azienda molto in vista, mi accingerò a spiegare come distinguere gli studi sui fattori di ranking “teoricamente utili in alcuni contesti” da quelli del tutto farlocchi.

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Come cercare termini o frasi separate da esattamente X parole

Scienziato pazzo
Scrivo questo post estemporaneo per darvi evidenza di una query assurda e inizialmente incomprensibile che ho dovuto tirar fuori per un’esigenza molto stupida: cercare su Google due termini o frasi che siano separati esattamente da X parole, con X da poter scegliere arbitrariamente.

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Un SEO deve soffrire di curiosità patologica

Una bambina curiosa

Photo by Paulius


Un SEO deve soffrire di curiosità patologica. Deve essere mosso dall’incessante desiderio di scoprire l’assassino, di smontare il giocattolo per capire come funziona, di acquisire quante più informazioni utili possibili, di elaborarle per trarne indizi, evidenze e pistole fumanti. Deve nutrirsi di dati, deve imparare a poter mettere in discussione tutto, porre domande scomode, fare critiche sensate e produttive, deve andare oltre l’acquisizione di informazioni e soffermarsi sul loro significato per scoprirne le cause, intuirne i futuri effetti e stimare le tendenze dei fenomeni osservati. Deve circondarsi di interrogativi, di questioni aperte e di quesiti insoluti, perché l’interesse a rispondere alle domande è poca cosa al confronto della prospettiva di poter estendere le proprie conoscenze. E la curiosità non può essere blanda e cortese, deve manifestarsi in una malattia feroce, un male interiore inciso nel DNA, una incurabile condizione patologica che solo per fortuna è stato possibile trasformare in un talento, grazie ad un mestiere assurdo fatto per folli. Un SEO deve essere un rompicoglioni invadente, perché “ottimizzare” significa semplicemente “migliorare” e se vuoi migliorare qualcosa, da un sito web ad un’azienda, devi necessariamente inquisire tutto, di tutti e costantemente.

I siti veloci hanno ranking migliori? Macché, è una bufala!

Tartaruga

Nel 2010 il blog ufficiale di Google dedicato ai webmaster ha pubblicato un post che annunciava che la velocità dei siti era entrata a far parte dei segnali valutati per stabilire l’ordine dei risultati delle SERP.

Il post possiede alcune caratteristice “inusuali”, come vi mostrerò in seguito, e sopratutto rimane estremamente generico nello spiegare in che modo le prestazioni dei siti influiscono sulla loro posizione.

In particolare, il termine inglese usato nel post per fare riferimento al nuovo segnale è “speed” e non “performance”. E’ mio parere che usando la parola “speed” diversi lettori siano stati indotti a credere che, a parità di altri fattori, ad ottenere posizioni migliori fossero i siti più veloci.

Non è così. Nell’articolo sulle “10 nuove cagate SEO” avevo accennato all’argomento ma adesso vi fornirò la spiegazione dettagliata.

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Le 10 nuove cagate SEO di cui non si dovrebbe parlare più

MAI più.

Sono passati quasi due anni dalla pubblicazione del famigerato articolo “Le 10 cagate SEO di cui non si dovrebbe parlare più“, che si è diffuso viralmente contro ogni previsione e che ha prodotto tra SEO e webmaster una quantità di commenti e apprezzamenti inaspettata.

SEO urlo

Copyright © Fabio Agostini

Per “cagate SEO” si intendono quegli argomenti di nessuna importanza e quei luoghi comuni inaffondabili su cui i SEO amano riversare fiumi di chiacchiere inutili. Tutte discussioni che dovrebbero essere archiviate definitivamente.

Siccome la produzione di materia fecale è intrinseca della natura umana e degli ambienti SEO/markettari, nel corso del tempo si sono accumulate nuove cagate SEO che è imperativo mettere a tacere per sempre, sotto gli scrosci di abbondanti tirate d’acqua.

Tutti i temi che seguono sono riferiti a Google, che dalle nostre parti è il motore di ricerca monopolista. Disclaimer e precisazioni le ho già fatte nell’introduzione della prima edizione delle “10 cagate SEO”, quindi potete leggerle lì se volete.

Orsù, disdicete l’abbonamento a “Pleistocene Oggi” (cit.) e proseguite con la lettura.

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