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Questa opera di Enrico Altavilla è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
Dal più basso livello possibile
Il nickname “Low Level” mi ha accompagnato sin da quando ho iniziato a muovere i primi passi sulla Rete. Non era nemmeno Internet, era una roba che si chiamava Fidonet. Se non avessi cannibalizzato l’adattatore telematico del Commodore 64 subito dopo l’acquisto per farne nonricordocosa, probabilmente avrei conosciuto anche l’emozione del Videotel.
“Low level” significa letteralmente “basso livello” ma non si tratta di un’indicazione sulla qualità di qualcosa: “basso livello” significa semplicemente indagare in profondità il meccanismo di qualsiasi cosa per capire come funziona. E’ la voglia di smontare i giocattoli per capire quali ingranaggi li regolano. La programmazione di software a basso livello, per esempio, è quella che si fa programmando direttamente nel linguaggio della CPU o di altri chip.
Capirete da voi che quando si è colpiti da questo “morbo” sin da piccoli, la famiglia del pargolo può incontrare serie difficoltà a finanziare i continui e folli smantellamenti di giocattoli del novello Dottor Frankenstein. Se i genitori possiedono un minimo di buonsenso, iniziano scaltramente a razionare i regali e questo è un bene perché a questo punto solitamente avviene l’evoluzione: alla fase esplorativa il bambino è costretto ad aggiungere la fase creativa.
Inizia ad assemblare i componenti precedentemente espiantati al modellino di Mazinga e al trenino elettrico, gli aggiunge la paletta per raccogliere la sporcizia, un elastico, due graffette e ci tira fuori un acceleratore di particelle, dove le particelle sono delle palline di chewing-gum che sfruttano la potenza propulsiva dell’ordigno appena inventato per trasformarsi in fastidiosissimi proiettili al colorante rosso E120.
Da quel momento non la pianta più di fare ‘ste cose. I genitori mantengono comunque un equilibrio psichico perché saltuariamente fanno echeggiare in maniera strategica delle parole magiche quali “collegio” o “circo togni” (e non per portarcelo come spettatore) e tutto va avanti in maniera più o meno serena. Ma se un figlio così dovesse capitare a voi, non regalategli mai un gatto, perché passare da un acceleratore ad un divaricatore è un attimo.
E da grande? Da grande non smette. Che si tratti di informatica, di marketing, di motori di ricerca e SEO o persino di relazioni interpersonali, continua ad osservare, a studiare e a cercare di trovare modi ottimizzati (si legga: migliori) di fare le cose a beneficio proprio e altrui.
E si diverte un mondo. Io spero di darne evidenza su questo blog.
Alla prossima!