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Questa opera di Enrico Altavilla è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
La distanza gastronomica
A Milano, nel mio quartiere, ha aperto da poco quello che si definisce “Luogo di incontro con cucina”, perché chiamarlo “ristorante” evidentemente je faceva schifo.
Ma se ti scrivo solo questo, tu non capisci, perché bisogna prima introdurre il contesto. Il contesto è quello di “zona Tortona”, l’area attorno a via Tortona che è piena di uffici di aziende di moda, modelle aliene che vanno a farsi i book fotografici, la sede della Endemol e tante società del settore del design e dell’arte.
E insomma il contesto è ultrafighetto e invece del ristorante c’è il luogo di incontro con cucina ed io me lo immagino che ci vanno le coppie alternative, quelle che al bambino gli fanno studiare il sanscrito perché l’inglese è troppo barbone.
Dico “immagino” perché io in questo luogo di incontro con cucina non ci sono mai entrato. Ci passo continuamente davanti quando vado a fare la spesa all’Esselunga, quindi voi immaginatemi camminare sul marciapiede con i sacchetti gialli della spesa mentre fiancheggio il luogo di incontro con cucina, magari chiedendo scusa e permesso ai clienti che sostano lì davanti.
Il contrasto culturale stordisce. E’ gente che veste bene, deve avere qualche risparmio sul conto corrente, gente che non va al ristorante, va al luogo di incontro con cucina, perché glielo impone lo status sociale. Io nel sacchetto ho la mortazza a blocchi, quella ancora da tagliare, perché le logiche di risparmio familiare a volte inducono ad approvviggionarsi all’ingrosso. E allora paragono la mortazza con quello che mangeranno questi signori.
Fuori c’è la lavagna coi nomi delle pietanze, di quelli che non si intuiscono gli ingredienti o che propongono accoppiamenti improbabili. Per la gente alternativa immagino che ci vogliano cibi alternativi. Alternativi a cosa? Ma è ovvio, alla mortazza.
E allora, in un raptus populista, mi immagino fermarmi lì davanti, aprire il sacchetto giallo ed estrarne la mortazza con gesto slanciato e nobile. La voglio porgere alle famiglie indigene come simbolo di fratellanza, a voler ristabilire i ponti con dei cugini distanti ma accomunati da un DNA pur sempre umano. Toh, ragazzino antistante il luogo di incontro con cucina, prendi! Ti regalo la mortazza! Lui non la prende, però sorride e mi dice qualcosa.
Solo che io il sanscrito non lo so.
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