Le 10 cagate SEO di cui non si dovrebbe parlare più

MAI più.

Inizio questo post con una doverosa precisazione: il termine “cagate” viene usato in questo articolo con l’accezione di “cose di poco conto” e non con quella di “cose di nessun conto”.

Via via che il ricambio generazionale SEO avanza, è inevitabile che su forum, blog e social network vengano riproposte domande e questioni di vecchia data.

Da un lato questa riproposizione va un po’ a beneficio delle nuove generazioni (che comunque hanno a disposizione i motori di ricerca ed un intero web sul quale sono state ripubblicato centinaia di volte le stesse risposte), altre volte tali argomenti riemergono anche tra chi fa SEO da anni, dietro la spinta di nuovi dubbi o perplessità.

SEO urlo

Copyright © Fabio Agostini

Dopo tanti anni di osservazione, ritengo che esista una gigantesca convenienza a mettere una pietra sopra certi argomenti, limitarsi a imparare l’ABC su di essi e investire meglio il proprio tempo occupandosi di questioni più concrete e utili.

Non è un caso che gli argomenti che elencherò vengano discussi lo stretto indispensabile (pochi minuti durante l’intera carriera?) dai SEO che reputo più esperti e periodicamente dai SEO che non ne sopravvalutano l’importanza.

Vi presento dunque una mia personalissima lista di cagate sulle quali sarebbe intelligente smettere di chiacchierare.

Se in futuro qualcuno inizierà a parlarvi dei seguenti argomenti, rimandatelo al presente post: l’interlocutore troverà la sua risposta definitiva e voi avrete investito nella discussione solo i pochi secondi che merita.

1. Il PageRank è importante o no?

Ogni volta che leggo questa domanda noto che nessuno specifica “importante per cosa”. Nella mente monodimensionale dei SEO, la funzione di tutto viene ricondotta al miglioramento della posizione di un sito nelle SERP, e quindi il “per cosa” è sottinteso che sia “per salire di posizione”.

Nella realtà di un motore di ricerca le cose sono però più complesse e il PageRank viene usato da Google in più di un contesto.

Sebbene la sua influenza diretta sulla posizione dei siti nelle SERP sia grandemente diminuita nel corso degli anni, rimane un indice che può aiutare Google a prendere tante decisioni importanti.

Per esempio, è stato notato che i siti o le sezioni di un sito sulle quali si concentra maggiormente il PageRank sono anche quelle che vengono scandagliate dallo spider di Google più in profondità. Per i siti grandi, questo fenomeno porta ad un maggiore numero di pagine archiviate da Google e quindi ad una maggiore probabilità di ricevere visibilità e visite dalle SERP.

Più che di effetti diretti sulla posizione nelle SERP si dovrebbe quindi parlare di benefici complementari, che possono contribuire alla visibilità di un sito in modo indiretto.

In aggiunta a tutto ciò, c’è da ricordare che la barretta verde non ha mai misurato il PageRank ma è solo un suo simulacro. Google ha regalato un semplice giocattolo ai normali utenti ma i SEO ed i proprietari dei siti lo hanno trasformato in un totem falliforme da usare per dimostrare al mondo di avercelo più lungo.

Non è un caso che nelle ultime versioni della toolbar di Google la barretta verde è stata rimossa dagli strumenti di default. Non escludo che il suggerimento sia arrivato da una sessuologa.

Adesso però è venuto il momento di mettere in moto la Delorean verso il 2011 e diffondere un nuovo mantra: “Chi parla ancora del PageRank ce l’ha piccolo.”.

2. Meglio il trattino o l’underscore?

A parte te e qualche pescatore di perle della Papuasia (vediamo chi becca la citazione cinematografica) scopertosi SEO nell’ultimo fine settimana, tutti gli altri hanno archiviato definitivamente l’argomento nel 2003.

Io consiglio di usare quello che mantiene il testo più leggibile per gli utenti (andrà bene anche per il SEO) e smettere di farsi le pippe mentali su ‘sta cagata pluriennale.

Ogni ulteriore secondo investito nel parlare di questo argomento di valenza infinitesimale è un secondo che si aggiunge alla perdita di tempo e denaro prodotta dalle decine di discussioni inutili che ho osservato negli anni.

Mo’ basta.

3. Perché il PageRank scende?

Questa domanda spesso nasce perché i SEO osservano la barretta verde scendere di un’unità e credono che si tratti di una diminuzione di PageRank.

E invece non è detto, magari il PageRank è salito.

Questo, lo ammetto, sembrerà controintuitivo: se il PageRank reale sale, perché mai la barretta verde dovrebbe accorciarsi?

Sarà mica legato al fatto che la barretta verde non ha mai misurato il PageRank? Bingo. Ma c’è anche altro.

Se volete una spiegazione completa e a prova di bambino di cinque anni, ne ho scritta una diversi anni fa a beneficio dei SEO-bimbi di allora. La trovate cercando su Google la storia del “ragno Michelino“. (sul serio)

Per tutti gli altri: che senso ha parlare di un argomento di cui non si capisce una cippa? Se si capisse una cippa del calcolo del PageRank, ma anche mezza, ma anche una fugace nebulizzazione di cippa, diventerebbe chiaro perché un’accorciamento della barretta non implica necessariamente una diminuzione del PageRank.

Nel caso in cui il calo di PageRank non fosse fittizio, esso avviene perché chi ti erogava PageRank adesso te ne eroga meno. Pazienza. Magari in futuro cerca di farti linkare da quei siti che ti sembrano destinati a farsi apprezzare dagli utenti.

Ma adesso basta con questi discorsi futuristici! Torniamo a scheggiare la selce perché domani Ugh ha bisogno di una nuova lancia per la caccia.

4. I menu a tendina sono considerati testo invisibile?

Questa domanda nasce spinta dalla convinzione che i motori di ricerca vogliano punire chi fa uso di testo invisibile. Il che è falso.

Il motore di ricerca non vuole penalizzare il testo invisibile in quanto tale bensì le eventuali cattive intenzioni dietro all’uso di un testo invisibile.

Quindi la domanda da farsi non è sul metodo tecnico ma sul suo scopo: “Lo stai facendo per indurre il motore a valutare testi che non vuoi presentare agli utenti?”.

Se la risposta è “no”, allora vai tranquillo e archivia anche ‘sta domanda ricorrente.

I menu a tendina nascono per esigenze di design e possono dormire sogni tranquilli.

5. Qual è la giusta keyword density?

Chiunque si ponga questa domanda andrebbe esorcizzato. Ripetutamente e prescindendo dal risultato ottenuto.

La keyword density non è mai stata usata dai motori di ricerca moderni per stabilire quanto un documento è attinente ad una query. L’ultimo utilizzo pratico che io conosco risale ad alcuni vecchi algoritmi in voga in ambito universitario negli anni settanta!

L’unica ragione per la quale la keyword density è diventata un argomento comune tra i SEO è che la sua comprensione è alla portata dei licheni. E dei SEO. Ma non tutti. Si tratta infatti di un semplice calcolo percentuale.

Probabilmente si tratta del più grande luogo comune SEO mai generatosi. In pratica, si è diffuso un concetto inutilizzato dai motori ma comprensibile ai SEO piuttosto che i concetti realmente applicati dai motori ma di difficile comprensione per degli organismi monocellulari.

E’ un po’ come voler diventare ingegnere aerospaziale studiando solo le macchine a vapore e, alla critica che la semplice conoscenza della forza vapore potrebbe non essere compatibile con ciò che fa un ingegnere aerospaziale, controbattere dicendo “Però il vapore è facile da capire. Fa anche ciuf ciuf.”. Magari con uno sguardo vagamente strabico.

Chi parla di keyword density rivela un deserto culturale: anche mettendo da parte l’ignoranza delle formule realmente usate dai motori di ricerca, carenza comprensibile, dichiara implicitamente una gigantesca sconoscenza della complessità dei motori e mostra un atteggiamento tipico di chi si aggrappa a dicerie e “sentito dire” in voga da anni.

L’espressione “keyword density” in bocca ad un SEO è la cartina di tornasole che può farvi capire quanto seriamente ha studiato e quanto chiara è la sua visione della complessità di un motore di ricerca.

Questo argomento è anche l’unico esempio tra i dieci proposti di cagata vera e propria e quindi non nell’accezione di “roba di poco conto” bensì col significato di “roba assolutamente farlocca”.

Se proprio non riuscite a vivere senza farcirvi la testa di formule e volete stare un po’ più al passo coi tempi (ma nemmeno troppo), date un’occhiata all’Okapi BM25 e alle sue varianti.

Fatevelo spiegare da Ugh quando torna dalla caccia.

6. Perché il motore mi ha penalizzato?

Nella stragrande maggioranza dei casi, perché te lo meriti; tuttavia ho voluto includere nella lista questa domanda per sottolineare che c’è una buona probabilità che non si tratti di una penalizzazione.

Una penalizzazione è un provvedimento speciale e volutamente punitivo, deciso dal motore nei confronti di chi ha fatto volontariamente e consapevolmente il birbante.

In tutti gli altri casi, ovvero quando da parte del webmaster/SEO non c’è volontà di fregare il motore di ricerca, in tutta probabilità la perdita di posizioni non è causata da una penalizzazione ma da una semplice applicazione degli algoritmi di ranking.

La distinzione potrà sembrare accademica e invece è molto pratica.

Innanzitutto va spiegato che il rapporto tra SEO e motore di ricerca è di tipo filiale: il motore, e Google in particolare, viene percepito come la figura maschile dominante, paterna, essenzialmente punitiva. Questo genere di relazione nasce perché il SEO percepisce sé stesso come un antagonista manipolatore, prova un costante senso di colpa nei confronti del motore e trascina la propria esistenza in maniera simile a quanto fa un roditore in una casa di campagna, nel continuo terrore di venire scoperto con le zampe dentro il barattolo dei biscotti.

Questo scenario induce il SEO a credere che ogni perdita di posizioni sia il frutto di una punizione incomprensibile e inferta ingiustamente.

Qui nasce il problema pratico: quando si parte dal presupposto che qualsiasi fenomeno sia una punizione, il SEO tende a chiedersi che cosa ha fatto di male, quando invece la ragione di un calo di visibilità potrebbe essere che non sono state fatte abbastanza cose buone. In tal caso, la soluzione ai problemi può consistere nell’andare a migliorare quanto fatto finora, invece di brancolare in cerca della specifica causa scatenante di una penalizzazione inesistente.

Ovviamente esistono anche le vere penalizzazioni, dovute ad attività di spam. Ma se sei uno spammer dovresti saperle distinguere dal normale cambio di ranking e saperle gestire.

L’importante è abbandonare definitivamente il paradigma penalizzazione-centrico e abbracciare quello qualità-centrico. In altre parole: piantiamola di chiederci perché Google ci picchia con un randello nodoso, perché chi non ha fatto volutamente spam perde posizioni semplicemente perchè gli algoritmi cambiano e il SEO non è stato sufficientemente bravo. Fine.

7. Perché è sceso il mio Alexa Rank?

Che crema protettiva hai usato contro le eruzioni di ammoniaca di Titano in questi ultimi due lustri?

Adesso che sei tornato sulla Terra è giusto che tu sappia che ci siamo evoluti e che nessuna persona minimamente equilibrata prende quell’indice come qualcosa di anche solo ipoteticamente valido, specie se il sito monitorato ha come target gli utenti italiani.

Lasciare perdere. Move on!

8. AdSense e AdWords influenzano la posizione nelle SERP organiche?

Esistono due Google: un Google tecnologico ed un Google commerciale. Si parlano ma non si rompono le scatole a vicenda.

Anche se troverete persone che sono pronte a scommettere la propria mamma e forse anche la cugina figa sul contrario di quanto sto per dire, la verità è che gli investimenti delle aziende in AdWords (o l’assenza di investimenti in AdWords) non producono alcun effetto sui risultati organici.

Chi è convinto del contrario fallisce miseramente nel comprendere che Google fa più soldi evitando influenze tra i due sistemi: organico e pubblicitario. E’ una logica che sfugge agli imprenditori che perseguono il massimo guadagno immediato ma dovrebbe risultare comprensibile a chiunque possieda una visione imprenditoriale più lungimirante basata sull’acquisizione di fiducia.

Questa dicotomia è proprio la chiave di volta che ha permesso a Google di sbaragliare ogni concorrenza in un mondo che, quando Google nacque, era pieno di motori che mischiavano risultati e naturali e pubblicitari come se fossero rum e Coca Cola per un Cuba Libre.

Stessa storia per AdSense. Tuttavia… gli ingegneri di Google che devono perseguire la massima qualità dei risultati organici sono certamente interessati ad acquisire quanti più segnali possibili sui siti web. Se tali segnali possono essere estratti grazie agli script di AdSense pubblicati sui siti web, non escludo che questo “approvviggionamento” possa avvenire, adesso o in futuro.

L’esempio più semplice che mi viene in mente è l’identificazione dei network di siti che fanno capo allo stesso soggetto: un codice di AdSense comune ai siti corrisponde ad una dichiarazione esplicita della natura di network. Questa dichiarazione non è di per sé una cosa buona o cattiva, tuttavia bisogna essere consapevoli che nel momento in cui Google volesse comporre dei risultati di ricerca garantendo una pluralità di soggetti, un network appartenente allo stesso soggetto potrebbe avere meno chance di presidiare una SERP.

La gente smetterà di farsi domande sulle commistioni tra denaro e risultati organici nel momento in cui entrerà nell’ottica di ciò che a Google conviene fare per raggiungere gli obiettivi di lungo termine che si è dato.

E’ un discorso delicato, tuttavia. Sono certo che prima o poi tornerò sull’argomento.

Per il momento beccatevi la risposta data.

9. Che peso ha il meta tag keywords?

Per la visibilità sui principali motori di ricerca, nessuno. Da anni e in alcuni casi da sempre. E’ aberrante che esista ancora gente che discuta ‘sta robaccia. Cos’è? Siete abbonati a “Pleistocene Oggi”?

10. Che ne pensi dell’algoritmo [inserire qui il tema dell’ultimissimo brevetto di Google]?

E’ più probabile che la tecnologia sbandierata nell’ultimo brevetto pubblicato da Google non sia usata dal motore di ricerca. La ragione è anche solo quantitativa: di brevetti ne vengono sfornati a pacchi mentre gli ingegneri hanno un interesse a mantenere il “sistema Google” il meno complesso possibile. Un’alternativa è che la nuova tecnologia non sia affatto nuova e che venga usata dal motore già da tempo.

Che al nascere di nuovi brevetti su tecnologie e algoritmi altisonanti la comunità SEO si faccia prendere dall’euforia è un fenomeno tutto italiano.

Purtroppo l’intero sistema dei brevetti, per come funziona, va considerato più uno strumento di acquisizione di asset che un’indicazione realistica di quante e quali tecnologie un motore di ricerca applica realmente.

Quanto appena detto significa che i brevetti devono essere prodotti e sfornati in quantità sul più ampio spettro di temi nei confronti dei quali l’azienda Google (o altre) possono avere interessi. Sono un modo per marcare un territorio e delimitare i confini, non una finestra su quanto un motore di ricerca lavora quotidianamente.

E quindi, così come è stato per il PageRank (che peraltro non è stato affatto brevettato da Google), alla nascita del prossimo algoritmo LSI o LDA o TrustRank (non correlabile a Google) il mio consiglio è quello di fregarsene, perché nella stragrande maggioranza dei casi si sta parlando di roba puramente teorica e non necessariamente applicata.

Aggiungo che in passato ero un divoratore di brevetti ma che col tempo ho ridotto sempre più il tempo dedicato alla loro lettura. La ragione è che ogni santissima volta che qualcuno cerca di “vendermi” un brevetto di Google come se fosse l’ultima frontiera dell’IR, io trovo nel comportamento del motore dei segnali che mi inducono a credere che gli algoritmi realmente usati da Google siano diversi da quelli indicati nel brevetto.

Questa è la ragione perché dietro l’interesse nei confronti dei brevetti ci vedo più una moda tutta italiana che una fonte autorevole di quello che Google fa.

L’undicesima cagata è tutta vostra

Avrò sicuramente dimenticato dei temi-tormentoni SEO che ci hanno accompagnato nel corso degli anni. I commenti sono a vostra disposizione per allungare la lista che ho iniziato. 🙂

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