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Questa opera di Enrico Altavilla è concessa in licenza sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
Mostrilioni di backlink: quello che succede a vendere PageRank
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Quello che segue è il resoconto di una penalizzazione su un mio sito web, volutamente protatta per oltre due anni al solo scopo di studiarne lo sviluppo naturale e trarne lezioni SEO utili per il futuro. Oggi condivido con voi quello che ho imparato.
Mostrilioni di link
Da molti anni sono in possesso di una pagina web che riceve una quantità di backlink da capogiro, nell’ordine delle decine di milioni. Tutti naturali. La pagina fornisce semplicemente un servizio di validazione del file robots.txt e suggerisce ai webmaster di pubblicare un bollino/link sui propri siti, per indicare che essi possiedono un file robots.txt valido.
Molti webmaster e addirittura alcuni sviluppatori di CMS hanno deciso di pubblicare il bollino, col risultato che la pagina ha accumulato link da mezzo web e la famigerata barretta verde del PageRank è arrivata a segnare per essa un dignitoso PR6.
L’immagine di copertina di questo post è uno screenshot di Majestic, che testimonia in maniera sborona la quantità di backlink esistenti nel loro database “storico”. Una bella percentuale di quei link risulta oggi cancellata, ma ne rimangono attivi diversi milioni.
La malefatta
Nel 2011 decido di iscrivermi a TextLinkAds, un marketplace di compravendita link, e di vendere link sulla pagina in questione e su altre pagine secondarie dello stesso sito. I link venduti sono do-follow e pertanto trasferiscono PageRank, una caratteristica che li rende contrari alle policy antispam di Google.
Tutto fila liscio fino al 17 maggio 2013, quando sul pannello di quello che si chiamava allora Google Webmaster Tools arriva un messaggio che mi informa che l’intero sito è stato penalizzato per manifesta paraculaggine e vendita di backlink. Curiosamente, non viene penalizzato solo il nome di dominio di terzo livello che ospita le pagine con i link venduti ma anche il dominio principale “www”, che non è mai stato usato per vendere link.
Prima osservazione: quando si tratta di penalizzazioni manuali, ciò che viene penalizzato è il risultato di una valutazione di un essere umano e la pena può estendersi anche a domini correlati. Insomma, dipende tutto da quanto drastico vuole essere il controllore umano che ha svolto la valutazione e da quanto i siti collegati potrebbero essere facilmente oggetto di spam.
Va aggiunto che il mio caso deve essere stato particolarmente problematico, agli occhi del valutatore, perché la pagina PR6 conteneva pochissimi link, col risultato che la quantità di PageRank erogata agli acquirenti era presumibilmente abbastanza alta, tanto da contribuire significativamente alla visibilità dei loro siti sulle SERP di Google. Trovo dunque giustificata la punizione “estesa” e severa.
Assenza di buonsenso
Qualsiasi persona dotata di senno avrebbe probabilmente smesso di vendere link e compilato una richiesta di riconsiderazione per rientrare nelle grazie di Google, ma il sottoscritto non potreva non approfittare dell’occasione per apprendere nuove lezioni di vita SEO e pertanto decido di non muovere un dito e di osservare ben bene la situazione.
Il primo fenomeno che salta agli occhi è che la barretta del PageRank della pagina iperlinkata viene declassata ad un PR3 ma la visibilità sulle SERP dei due domini penalizzati non cambia di una virgola. Questo ci porta alla seconda osservazione: a volte le penalizzazioni sono “estetiche” e “politiche” ed hanno semplicemente l’obiettivo di spezzare certi loschi traffici di PageRank.
Declassare la pagina a PR3 ma mantenerne la visibilità nei risultati di ricerca è l’uovo di colombo che permette a Google di prendere due piccioni con una fava: da un lato il PR3 disincentiva le persone ad acquistare link sulla pagina (e infatti da quel momento non se l’è filata più nessun acquirente…) e dall’altro Google mantiene alta la qualità delle proprie SERP, che non si privano di una pagina che risulta comunque utile a molti utenti.
Qui nasce la terza osservazione: non bisogna mai dimenticare che Google ha tutto l’interesse a proteggere la qualità del proprio prodotto, ovvero le pagine con i risultati delle ricerche. Se una pagina web è di qualità e risulta utile agli utenti, Google ottiene un vantaggio se la mantiene visibile nelle SERP.
La quarta osservazione è una conseguenza delle precedenti due: le modalità di penalizzazione possono variare considerevolmente a seconda del soggetto da penalizzare. Se è vero che il sottoscritto, il venditore di link, s’è beccato solo una riduzione fittizia della barretta verde, immagino che gli acquirenti dei link devono probabilmente aver ricevuto penalizzazioni più serie, di quelle che influiscono sulla visibilità nei risultati naturali, quantomeno per il fatto che la quantità di PageRank acquistata va a farsi benedire.
La faccenda va avanti col sottoscritto che procede nel modo già accennato: me ne infischio di Google e continuo a vendere (pochi) link fino alla fine del 2013.
Penalizzazioni con data di scadenza?
A questo punto il marketplace TextLinkAds, per ragioni che non ho mai approfondito, scompare nel nulla e con esso i link sulle mie pagine. Da questo momento le pagine sono del tutto pulite e in linea con le policy di Google; l’avviso di penalizzazione ovviamente permane sulle pagine di Google Webmaster Tools. Decido di non fare assolutamente nulla e di lasciar passare il tempo al solo scopo di vedere se la penalizzazione “scade da sé” dopo un certo periodo.
Fast forward di un anno: nel dicembre 2014 sto con John Mueller (Webmaster Trends Analyst in Google) a pranzo e gli racconto questa storia che sto raccontando a voi, spiegandogli che non avevo volutamente fatto richiesta di riconsiderazione per vedere se la penalizzazione sarebbe scaduta da sé. John Mueller dice testualmente “Dura tre anni“, in modo così diretto e perentoreo da indurmi a prendere atto dell’affermazione con delle pinze molto grosse.
Ovviamente il sottoscritto non si accontenta della risposta ufficiale e persegue nel folle tentativo di osservare dal vivo se e quando la penalizzazione verrà rimossa.
Si aggiorna il PageRank della toolbar
Nel luglio del 2015 avviene il colpo di scena: ricevo una mail da Matomy SEO, che a quanto pare ha acquisito i database di TextLinkAds ed ha ricostruito il marketplace su un altro nome di dominio. La mail mi informa che qualcuno ha acquistato link sulle mie pagine e che è richiesta la mia approvazione. Incuriosito dal fatto che qualcuno volesse acquistare link su una pagina PR3, torno a visitare la pagina in questione e mi accorgo che il PageRank è magicamente tornato a PR6. Sono tornati ai valori storici anche i PageRank delle altre pagine del sito, che erano stati anch’essi declassati.
Siccome ricordo con chiarezza che il PageRank della pagina era rimasto un PR3 durante l’intero 2014, ne deduco che in qualche momento tra gennaio e luglio 2015 qualcuno o qualcosa deve aver “sbloccato” l’indicatore del PageRank affinché mostrasse il reale PageRank della pagina e non il PageRank fittizio, infertomi dalla penalizzazione.
Si noti che ad essere cambiato è solo il valore indicato dalla baretta verde; sulle pagine di Google Search Console (perché mo’ si chiama così) rimane l’indicazione di penalizzazione manuale.
Per quanto io debba ringraziare Matomy SEO per avermi indotto a ricontrollare il PageRank di quella pagina, sono ormai disinteressato alla vendita di link e quindi decido di rifiutare la proposta di Matomy, impedendogli di vendere ulteriori link per mio conto, in modo che la pagina rimanga compatibile con le policy di Google e che io possa continuare a monitorare saltuariamente il Search Console per vedere se per caso la penalizzazione scadrà da sé.
Un dubbio che sorge a questo punto è che significato dare al fatto che il PageRank della toolbar sia tornato al valore corretto. Potrebbe significare che la penalizzazione è stata rimossa, nonostante su GSC permanga l’avviso? Si tratta di un glitch tecnico?
La quinta osservazione che mi sento di fare è che a volte i valori indicati dalla barretta del PageRank possono subire modifiche anche se Google non ha lanciato un aggiornamento globale della barretta.
Nel mio caso, l’idea che mi son fatto io è che da qualche parte Google abbia mantenuto sia l’informazione sul PageRank reale della pagina (che difatti non ha mai perso visibilità nelle SERP) sia l’informazione del PR3 fittizio. Eliminando quest’ultimo, la barretta è tornata a mostrare il PageRank reale. Sul perché e per come il PageRank fittizio sia stato eliminato si possono fare solo ipotesi campate in aria, che dunque non farò.
Mai resistere alle tentazioni
Giorno 7 agosto 2015 impongo una piccola svolta: decido di pubblicare un link sulla pagina PR6 verso The Search Herald, l’aggregatore di news SEO realizzato assieme a Francesco Terenzani. Del resto, avendo una pagina PR6 sarebbe un vero delitto non approfittarne per linkare una risorsa a tema e (a giudizio mio) di qualità. Detto, fatto! Il testo dell’ancora del link è semplicemente “Search Herald”.
Beh, dopo diverse settimane dalla creazione del link, la linea di visibilità di The Search Herald sulle SERP di Google rimane piatta come l’encefalogramma di zia Cesira, che non c’è più.
Alché, sesta osservazione, si evince che la penalizzazione non aveva colpito fittiziamente solo la barretta del PageRank ma aveva anche impedito alla pagina di erogare PageRank attraverso i link. ‘Sta cosa io la davo per scontato ma è sempre bene avere delle conferme pratiche alle proprie ipotesi.
Apro una parentesi per introdurre un pensiero malato: rendiamoci conto che a questo punto del racconto c’è una pagina per la quale Google mostra un PR6 ma che in realtà non eroga un piffero di PageRank. Ci avrei potuto vendere link ai mammalucchi che credono ancora che la barretta verde sia uno strumento affidabile. Un po’ come vendere la fontana di Trevi ai turisti stranieri. Stateve accuort’. Chiusa la parentesi.
Rammaricato di non poter spingere un po’ la mia nuova creatura attraverso un link da pagina PR6, venerdì 18 settembre 2015 decido di vanificare mesi di osservazione: infischiandomene di scoprire se la penalizzazione manuale svanirà da sè col tempo, invio una richiesta di riconsiderazione a Google. Giorno 24 settembre la penalizzazione viene rimossa.
Quali sono le conseguenze della rimozione della penalizzazione? Beh, i link presenti nella pagina tornano a trasmettere PageRank e quindi dopo un po’ di smottamenti tellurici tipici dei continui aggiornamenti delle SERP, The Search Herald acquisisce un botto di PageRank e mostra miglioramenti su tutti i KPI monitorati.
I risultati
Primo KPI: quantità di query uniche. La quantità di query uniche per le quali un sito riceve traffico organico può essere usata come KPI per capire quanto il sito è visibile. Siti poco popolari tendono ad essere visibili sulle SERP per una quantità di query piuttosto bassa mentre siti più popolari vengono fuori nei risultati di ricerca per query molteplici, per più varianti e più query di long tail.
Il grafico che segue indica come la quantità di query uniche per The Search Herald è cambiata nel tempo; si noti l’aumento successivo al 24 settebre 2015, giorno della rimozione della penalizzazione del sito linkante.
Secondo KPI: numero di impression. La quantità di impression registrate sui risultati organici e acquisita attraverso il pannello di Google Search Console può essere usata come ulteriore indicatore di performance. Nel caso di The Search Herald tale KPI è un po’ fuorviante, tuttavia, perché i contenuti della home page dell’aggregatore cambiano continuamente e quindi la pagina può ricevere più visualizzazioni non tanto perché Google ha deciso di assegnarle posizioni migliori quanto perché i nuovi testi pubblicati intercettano nuovi sciami di ricerche.
Ho deciso di presentarvi comunque i dati di questo KPI perché nel caso specifico l’incremento di impression è da imputare in gran parte a nuova visibilità acquisita per query più competitive; il che ci porta al terzo KPI…
…posizione media per query mediamente competitiva. Sin dalla sua creazione, The Search Herald ambiva a posizionarsi su Google.com per la query [seo news] e il grafico che segue mostra la visibilità per tale query prima e dopo il 24 settembre 2015.
La settima osservazione di questo post riassume quanto appena mostrato nel tentativo di smentire quelle strane voci che girano in certi ambienti SEO, secondo le quali i link sono elementi meno importanti rispetto al passato. Come per tutti i temi SEO, la risposta corretta è sempre “dipende”. Un link a tema, di qualità e che eroga un fracco di PageRank (o qualsiasi altra metrica Google si sia inventato negli ultimi anni) rimane un asset di grande valore perché è in grado di portare risultati.
L’ottava e ultima osservazione consiste nella preghiera di non attribuire peso ai ripensamenti del sottoscritto durante il test appena presentato, che tutto è stato fuorché rigoroso. Dall’obiettivo di capire se le penalizzazioni manuali possiedono una data di scadenza, il sottoscritto ha drasticamente virato verso uno scopo ben più becero e mangereccio: spingere un sito attraverso un backlink. Alla faccia dei test SEO.
Consideratemi pure il proverbiale lupo che non perde il vizio.
P.S.
Pensavo che sarebbe interessante parlare di argomenti simili in qualche evento. Giusto per dire.
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